
Foto ANSA
architettura di consensi
Ciellini, sindacati e industriali pro Meloni. Aria di nuovo collateralismo?
Cisl, Confindustria, ora Comunione e liberazione. Con sagacia e pazienza, la presidente del Consiglio si è creata la propria “società civile”
Con l’accoglienza trionfale ottenuta ieri al meeting di Rimini, scandita da continui applausi a scena aperta, Giorgia Meloni ha ulteriormente allargato la sua galassia di influenza, la sua società civile. E’ vero che i giovani che riempiono i dibattiti di Comunione e Liberazione hanno dalla loro una tradizione filo-governativa (quelli che applaudivano Andreotti e Berlusconi oggi però hanno i capelli grigi) ma il consenso appassionato tributato ieri alla premier non può essere archiviato come scontato o pura routine riminese.
E comunque anche un lontano paragone con due cavalli di razza come il Divo Giulio e il Cavaliere suonano per Giorgia come una laurea presa sul campo. Perché Meloni sarà refrattaria ai confronti con la stampa ma sa quantomeno scegliere le platee a cui si offre e sa anche preparare accuratamente questi bagni di folla. Non è un caso che l’appoggio incondizionato del gruppo dirigente e della base ciellina arrivi dopo analoghe manifestazioni di apprezzamento e solidarietà politica da parte di altre assemblee strutturate come quella degli imprenditori di Confindustria e degli iscritti alla Cisl. Se poi aggiungiamo, come è corretto che sia, la vicinanza a Meloni degli ambienti finanziari che stanno rendendo possibile la nascita di un terzo polo bancario e sfidano apertamente il tradizionale sistema Mediobanca-Generali, possiamo concludere che attorno alla figura della premier sta nascendo una sorta di società civile organizzata, interclassista e intergenerazionale, decisamente radicata tra le élite e in basso tra giovani e lavoratori.
Bisogna riconoscere che nel metter su quest’architettura di consensi Meloni ha lavorato con sagacia e pazienza. Non ha operato blitz, non ha usato la spada ma ha saputo concentrare su di sé l’attenzione e il plauso vuoi per il prestigio che comunque l’arena della politica internazionale le ha concesso vuoi per la stabilità politica che è riuscita ad offrire al Paese reale (cadendo poco o niente nelle continue trappole di Matteo Salvini) e vuoi per la mancanza di un’alternativa visto che Cielle, Cisl, Confindustria e sistema bancario sono mondi diametralmente distanti da Elly Schlein e Giuseppe Conte e che non sentono affatto il richiamo di un eventuale campo largo.
Con la Confindustria il feeling è stato quasi immediato. I maliziosi sostengono che Meloni abbia aiutato Emanuele Orsini già nella fase di corsa alla presidenza ma è certo che sin dal primo giorno del dopo-Bonomi il dialogo e la consultazione informale sono stati continui. E lo sono rimasti nonostante che la premier abbia dovuto dare diversi dispiaceri alla base imprenditoriale, prima con una Finanziaria 2025 che sicuramente non è stata filo-padronale sia con l’introduzione dei dazi al 15 per cento da parte dell’amico Donald Trump. Ebbene in entrambe le circostanze Meloni non ha pagato pegno nonostante abbia tagliato i fondi per la riconversione del settore auto, gestito maluccio Transizione 5.0, abolito l’Ace e abbia immesso nella legge di bilancio un provvedimento-Fantomas come l’Ires premiale. E nonostante in un momento di euforia durante una riunione con le parti sociali nella Sala Verde di palazzo Chigi abbia promesso alle imprese la cifra-monstre di 25 miliardi, poi dileguatasi qual piuma al vento. In tutti questi frangenti e anche al momento dell’accordo europeo sui dazi né dal quartier generale di Roma né dai territori sono arrivate prese di posizione apertamente contrarie, non ci sono state manifestazioni di protesta delle imprese (per molto meno dei dazi in passato gli imprenditori minacciavano di portare le chiavi delle loro aziende a palazzo Chigi) e la Confindustria ha persino sopportato con inesauribile pazienza le continue e inutili iniziative del ministro competente Adolfo Urso. Dalla ridicola legge sul made in Italy alla promessa di produrre in Italia un milione di vetture, tanto per capirci.
Con la Cisl la cucitura dell’alleanza è stata tutto sommato ancora più facile, innanzitutto perché la finanziaria scorsa era diretta a favorire i redditi medio-bassi. Inoltre l’inedito asse (ricordiamo che la destra missina ha storicamente potuto contare sull’Ugl ed ex-Cisnal) è stato favorito dalla politicizzazione della Cgil di Maurizio Landini, dalla proclamazione di velleitari scioperi generali e dal flop dei referendum voluti dallo stesso leader sindacale e imposti a un elettorato pressoché ignaro. Meloni è troppo abile per non aver saputo approfittare di questa polarizzazione sindacale e anche del parallelo allentamento dei legami tra una parte della Cisl e il Pd. La legge sulla partecipazione voluta fortemente dall’ex segretario Luigi Sbarra le ha dato ulteriore possibilità di manovra. Puro cacio sui maccheroni. Ha sponsorizzato in Parlamento la proposta cislina, l’ha di fatto depotenziata dall’interno accettando le richieste confindustriali ma ha concesso alla Cisl la possibilità di fregiarsi coram populo di un successo politico-culturale e di una bandiera da sventolare in faccia a Landini. Poca spesa, tanta resa. La nomina a plenipotenziario per il Sud dello stesso Sbarra è stata come un regalo di nozze.
Con Comunione e Liberazione la premier era agli esordi. Al meeting sono di casa più Enrico Letta e Pierluigi Bersani che gli esponenti di punta di Fratelli d’Italia e quindi c’era, nel discorso di ieri, da cucire un abito su misura per l’occasione. Ad aiutarla è stata una standing ovation tributatale dalla platea prima ancora che prendesse la parola. Ha iniziato raccontando che come organizzatrice di eventi politici (Atreju) ha guardato sempre con ammirazione alla straordinaria macchina organizzativa del meeting. E poi ha continuato per 48 minuti utilizzando con abilità quasi tutto il repertorio del lessico culturale ciellino: la comunità, la famiglia, la parità scolastica, la sussidiarietà, il volontariato. Ha lodato i giovani ciellini per il loro anticonformismo che li porta “a preferire l’impegno piuttosto che un video su Tik Tok” e ha chiuso ammettendo che la politica “ha un disperato bisogno” di energie fresche e quindi “sono qui a chiedervi una mano”. Del resto, ha continuato “voi non avete mai disprezzato la politica e avete saputo sporcarvi le mani”.
Incassato il consenso a mani spellate di Rimini e l’implicito paragone con i cavalli di razza c’è forse da porsi la domanda se sommando tutto siamo alla vigilia della nascita di un nuovo collateralismo. E’ chiaro il paragone diretto con i tempi della vecchia Dc e della “società bianca” sarebbe azzardato. In quel caso c’era un’osmosi di uomini e donne che passavano dalle organizzazioni come Cisl e Coldiretti direttamente a incarichi politici e tutto questo era oliato anche dal retroterra di cultura e di capillarità territoriale rappresentato dalla Chiesa del tempo. La Cisl sceglieva i ministri del Lavoro e la Coldiretti quelli dell’Agricoltura, solo per fare qualche esempio. La società bianca viveva anche grazie alla contrapposizione ai “rossi” che disponevano di svariate cinghie di trasmissione tra Pci e organizzazioni di massa. Nel caso Meloni si può parlare forse di un collateralismo ad personam, alla sua figura e molto meno al suo partito che non dispone di molte figure capaci di replicare le cuciture della premier sul territorio o su singole materie. E ovviamente c’è da scontare che il ruolo della Chiesa è profondamente cambiato in periferia come al centro.
Sul breve comunque questa forma inedita di collateralismo serve a Meloni per mettere a cuccia Salvini, che non perde occasione per seminare chiodi e si è comunque intestato un’operazione come quella del ponte sullo Stretto elettoralmente ambiziosa. Ma nel farlo si è dovuto scoprire sul fianco settentrionale al punto da ripararsi dietro la figura di Luca Zaia per non subire contraccolpi. Ma per Meloni poter schierare “contro” di lui sindacati, industriali, associazioni di massa e banchieri non è poca cosa. E’ la differenza che passa tra un consenso liquido cercato via social (l’ultima sono i post di Salvini per la giornata nazionale del cane) e una solida influenza sulla società civile. Invece per capire se Meloni potrà usare il neo-collateralismo nell’azione quotidiana di governo (o addirittura come bacino di competenze a cui attingere) bisognerà attendere la preparazione della finanziaria. Per ora siamo solo alle schermaglie.