
Il racconto
La Sicilia di Schifani è il Leoncavallo di Meloni. Un'isola da sfratto
Un'isola ferma: aeroporti, porti, ospedali sgovernati, una maggioranza in lite che non riconosce Schifani, assessori tecnici impallinati, referti istologici che non arrivano dopo tre mesi. La spina della destra è la Sicilia
Catania. Ministro Piantedosi, avanti!, prenda per mano il vicepremier Tajani e venga in Sicilia. C’è un altro Leoncavallo da sgomberare, una regione occupata legalmente da un presidente inesistente, Renato Schifani, una regione che resta sfrattata dalla modernità dove la pazienza è già sotto zero. E’ in riparazione, a due anni dall’incendio, l’aeroporto di Catania, due anni; è senza direttore generale, da gennaio, l’azienda sanitaria di Palermo; gli avvocati della regione (su mandato di Schifani) fanno ricorso al Tar contro il ministro dei Trasporti (alleato di Schifani); le gare pubbliche vengono arbitrate dagli ex colleghi di studio di Schifani, un presidente che manda ispezioni dell’Asl perché non trova in aeroporto il croissant vuoto a colazione. Serve altro? A Trapani oltre tremila referti istologici non sono stati mai consegnati… Ministro Piantedosi, avanti!, dopo Milano, venga a sgomberare il Leonschifani.
Non è vero che tanto è la solita Sicilia e non è vero che è solo politica regionale. Uno dei porti strategici d’Italia, così direbbe la premier, uno dei porti decisivi del Mediterraneo, è stato affidato ieri all’ex europarlamentare della Lega, Annalisa Tardino, perché così si erano accordati Salvini e Tajani. Si sono spartiti il mare: a Forza Italia, il porto di Gioia Tauro e alla Lega, il porto di Palermo, solo che Schifani minaccia di impugnare la nomina, di ricorrere al Tar. Se non era informato è grave ma se lo fa da informato significa che non risponde più a Tajani, al suo partito, come di fatto lamenta la stessa Forza Italia in regione.
La passione di Schifani, da sempre, sono i segretari, tanto da prendere il suo, quello personale, e indicarlo commissario del partito in Sicilia, un partito che non si riunisce da due anni. Il segretario si chiama Marcello Caruso ed è un segretario che poteva vantare da consigliere comunale di Palermo la fortuna di 500 voti. Anche per l’Autorità portuale, Schifani avrebbe scelto un altro segretario, così come ha lasciato che la regione Sicilia scegliesse il suo ex socio di studio legale per presiedere una commissione che assegna appalti da 170 milioni. E’ da tre anni che Schifani guida questa isola sciagurata e da tre anni accumula cariche da commissario salvo poi scaricare le colpe sui sub commissari (che licenzia).
Il 25 luglio si è bloccata l’autostrada A19 e Schifani ha risolto il problema nominando altri due nuovi sub commissari per la manutenzione (il commissario è lui) con tanto di nota altisonante: “Ho chiesto di accelerare sulle chiusure di nuovi cantieri”. E’ un metodo di non-governo e non è neppure nuovo, ma si immerge nel fasto dell’arretratezza e dello scialo. A giugno, la regione Sicilia ha speso mezzo milione di euro per il concerto “Gigi D’Alessio & friends” solo che nessuno, dal palco, gli ha detto "grazie presidente" e Schifani ha “parlato di inadempienza contrattuale”. Le sue gesta sono tutte raccolte dal giornale moschettiere “Buttanissima Sicilia”, la feritoia siciliana della libertà, di pensiero, insieme ad altre piccole, e demoralizzate, vedette, i soliti giornalisti coraggio e Don Quijote.
Se nessuno ha finora chiesto lo sgombero del Leonschifani è solo perché FdI in Sicilia è messa peggio di Schifani. E’ finito sotto inchiesta il presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, di FdI, e per FdI (partito in Sicilia commissariato) “c’è qualcuno in regione, anche tra i nostri alleati, che spinge la stampa a parlare male di noi”. Oltre al metodo “è colpa di qualcun altro”, Schifani percorre l’altro, il metodo “dividi e campa”, sopravvivi. Sta recuperando l’ex assessore ed ex vicepresidente, leghista, Luca Sammartino, che si era dovuto dimettere perché interdetto dalle cariche (interdizione scaduta). Al momento questa regione è governata da un patto di sindacato Schifani-Totò Cuffaro-Raffaele Lombardo (in pratica la Sicilia di vent’anni fa) e il peggio è che c’è una città, Catania, che dice: “Schifani ce l’ha con noi” e un’altra, Palermo, che spiega: “Il problema di Schifani è che vuole fare il presidente della Regione e anche il sindaco di Palermo”.
Da quando è presidente della regione uno dei suoi primi atti è stato togliere a Catania la sede presidenziale che aveva voluto l’ex presidente e oggi ministro, Nello Musumeci. Per il resto, Schifani ha scelto personalmente gli assessori tecnici, alla Sanità e all’Economia, che vengono puntualmente impallinati grazie al voto segreto. Si chiama governare, questo? Ministro Piantedosi, a Militello, al funerale di Pippo Baudo, mancava lei. L’ultimo autobus che porta a Catania, parte alle 17, e per lasciare il paese, di notte, i siciliani si fanno il segno della croce. Non si può definire strada. Ha ragione Giorgia Meloni che dopo lo sgombero del Leoncavallo ha dichiarato, “in uno stato di diritto non possono esistere zone franche”. Nello stato di Meloni non dovrebbe esistere un aeroporto che da due anni attende di essere riparato, due anni, e non dovrebbe esistere un ospedale senza direttore generale da sei mesi. Ministro Piantedosi, venga a sgomberare questa Sicilia centro sociale, spedisca Luca Zaia, come propone Pietrangelo Buttafuoco nell’intervista ad Aldo Cazzullo, lo spedisca a fare non il doge, ma il prefetto dolce, in Sicilia si dice duci, duci. Avanti, è il Leonschifani la spina della destra, il Leoncavallo al ficodindia.