(foto EPA)

Il retroscena

Trump-Putin a Roma: il no di Mosca e gli sgambetti dell'Europa. Tutte le trappole del negoziato

Simone Canettieri

Dalla telefonata del presidente Usa a Meloni fino allo stop dell'ipotesi dettato dal Cremlino: ecco cosa ha reso quasi impossibile  la scelta dell'Italia per il vertice sull'Ucraina

Donald Trump e Vladimir Putin lunedì a Roma per negoziare la pace in Ucraina. Il piano prende forma, poi si smonta e si polverizza davanti al niet di Mosca e alla fine resta sospeso nel futuro dei chissà e dei mai dire mai. Come rivelato dal sito del Foglio, giovedì sera la premier e il presidente Usa si sentono al telefono: “Che ne dici, Giorgia, se i negoziati per l’Ucraina si tenessero a Roma?”, è la  domanda con la quale l’inquilino della Casa Bianca sonda la presidente del Consiglio. La quale risponde con un sì pieno di convinzione. Sarebbe – più che sarà – un colpo incredibile per l’Italia, dai contorni storici. Meloni, finito di parlare con Trump, interpella anche il presidente ucraino Zelensky che si dice d’accordo. Più tardi in una riunione della Nsa Marco Rubio ufficializza la proposta.  

Al vertice, oltre al segretario di stato americano, partecipano i rappresentanti della sicurezza nazionale di Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Ucraina e Finlandia. Rubio dà forza a questa possibilità al tavolo. Lo scenario nella tarda mattinata di ieri viene lanciato come solido dall’emittente trumpiana Fox News: ipotesi Roma. Nel giro di pochi istanti però arriva la bocciatura attraverso l’agenzia di stampa russa Tass: “L’informazione secondo cui la sede dell’incontro sarebbe Roma non è veritiera”. 

Per Mosca l’Italia non è un terreno neutrale dove negoziare una tregua. Putin la considera “vittima” della propaganda ucraina, gli scontri e le accuse di russofobia, che hanno investito anche il Quirinale, sono ancora freschissimi, così come l’annullamento del concerto a Caserta del maestro russo Valery Gergiev. Meloni al contrario era ovviamente favorevole nonostante le complicazioni per il mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale nei confronti di Putin e soprattutto per il probabile esito dell’incontro. Secondo Bloomberg i termini del possibile accordo comprenderebbero un congelamento sull’attuale linea del fronte, che consentirebbe a Mosca di mantenere il controllo del territorio fin qui conquistato. Per non parlare dello stop alle sanzioni verso Mosca e allo scongelamento dei capitali nelle banche occidentali per un totale di circa 300 miliardi di dollari. La domanda a cui nessuno sa dare risposta è: vale la pena di mettere la targa su un vertice che potrebbe piegare l’Ucraina in cambio del cessate il fuoco ai desiderata russi? Sono rischi che Meloni conosce, che mette sul piatto della bilancia, e che reputa giusto prendersi. Poi però nella meccanica che porterà allo stop di Mosca si inserisce anche un fronte europeo. Fonti diplomatiche italiane riportano, lamentandosene, un elemento dietro al momentaneo e forse definitivo tramonto dell’ipotesi Roma. La mancata compattezza dell’Europa per remare verso questa soluzione. I sospetti cadono, ça va sans dire, sulla Francia. Dopo lo stop, Fox News riferirà che tra le sedi prese in considerazione vi sono ora Ungheria, Svizzera ed Emirati Arabi Uniti. Una possibilità, quest’ultima, alla quale aveva accennato giovedì anche Putin. 

Dalle parti del governo l’idea che Trump possa aver pensato in prima battuta a Roma come sede del negoziato è la dimostrazione, nonostante la spada di Damocle dei dazi, di un rapporto privilegiato che esiste fra questa Amministrazione degli Stati Uniti e l’Italia. La conferma di rapporti personali diretti e ottimi fra i leader, ma anche e soprattutto di reciproca fiducia. Medaglie da appuntarsi al petto dal valore effimero, ma comunque da tenere a mente. Fonti diplomatiche negano al contrario che l’Italia si sia mossa con la Russia per aprire un canale di mediazione. L’idea del Vaticano come sede dei negoziati non sembra la più probabile: la sicurezza dell’evento sarebbe comunque in capo all’Italia, ma dalla Santa Sede smentiscono qualsiasi contatto, pur auspicandolo ovviamente. La serata si chiude con un altro vertice  con i rappresentanti della sicurezza nazionale condotto da Londra dove al posto di Rubio per gli Usa c’è il vicepresidente Jd Vance. E’ qui che l’Italia, rappresentata dal consigliere diplomatico di Meloni Fabrizio Saggio, riporta la possibilità che Roma torni in pista magari in un secondo momento.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.