
Foto di SJ Objio su Unsplash
L'intervista
“Lo scudo penale per medici va approvato, ma serve anche un piano per le professioni che mancano”, dice Anelli (Fnomceo)
“Consentirebbe di lavorare più serenamente, riducendo le cause inutili nei tribunali e anche il ricorso alla medicina difensiva. Ma bisogna anche intervenire sul personale sanitario che manca". Colloquio con il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri
Sembrava tutto pronto, ma i medici dovranno aspettare ancora un po’ per lo scudo penale ambito da anni. Il Cdm di ieri avrebbe dovuto esaminare lo schema del disegno di legge delega al governo sulle professioni sanitarie. Se ne riparlerà dopo Ferragosto, ma le bozze che circolano riaccendono le speranze della categoria.
“Lo scudo consentirebbe ai medici di poter lavorare in maniera più serena”. Lo dice al Foglio Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo). Fra i nove articoli del ddl spuntano delle modifiche al codice penale che puntano a stabilizzare lo “scudo penale” introdotto durante la pandemia. In base al provvedimento, infatti, la punibilità di chi esercita le professioni sanitarie in caso di morte o lesioni durante l’attività lavorativa sarà limitata ai soli casi di colpa grave.
Un nuovo articolo prevede poi che per l’accertamento della colpa il giudice valuti anche la scarsità di risorse umane, le carenze organizzative e le limitate conoscenze scientifiche sul caso clinico in questione. Una previsione, questa, che nasce dall’esperienza del Covid, “dalle difficoltà che gli ospedali avevano di fronte ad una patologia sconosciuta – prosegue Anelli – si doveva evitare che ci fossero conseguenze sui medici, che in quel periodo hanno fatto di tutto per affrontare la pandemia”. A colmare il vuoto ci ha pensato il governo Draghi nel 2021 con un primo scudo penale, seppure temporaneo. “Ogni anno abbiamo chiesto una proroga della misura con il milleproroghe”, ricorda il presidente, sottolineando come rendere strutturale questa misura porti vantaggi su più fronti.
Uno fra tutti, quello giudiziario. Per i dati dell’Anaao Assomed (il sindacato dei medici ospedalieri) almeno un camice bianco su tre ha ricevuto una denuncia lungo la sua carriera, ma solo nel 3 per cento dei casi le cause si concludono con una condanna. “Lo scudo eviterebbe processi inutili, lasciando invariata la via dell’indennizzo economico per i cittadini”, spiega Anelli. Ridurre l’ingolfamento dei tribunali era anche l’obiettivo della legge Gelli-Bianco del 2017, che esonera il sanitario da responsabilità se l’evento dannoso si verifica a causa di imperizia, avendo però rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali. Ma i dubbi interpretativi non hanno risolto il problema della depenalizzazione, “che i medici continuano a chiedere ancora oggi”, dice Anelli.
Dai tribunali agli ospedali. “La misura ridurrebbe il ricorso alla medicina difensiva”, pratica che vede i professionisti adottare procedure ed esami aggiuntivi (se non inutili) sul paziente, per proteggersi da possibili azioni legali. “Di conseguenza, ci sarebbe un vantaggio per la salute dei pazienti, e anche dei medici”, prosegue il presidente. Su di loro grava un obbligo di assicurazione nato proprio per tutelarli dalla possibilità di finire davanti a un giudice. Ma le polizze costano: “Con un maggiore rischio di ricorsi aumenta l’importo dei premi assicurativi che i medici pagano. Speriamo che questa legge porti a un abbattimento dei costi”, si augura Anelli.
Di fronte a tanti vantaggi, ci si chiede cosa abbia impedito di intervenire prima. “In molti, anche fra i giuristi, considerano la misura come un privilegio verso i medici – spiega il presidente dell’Ordine – E’ un ostacolo giuridico e culturale. E’ la statistica a dirci che in ogni intervento ci può essere una percentuale di casi avversi. Non si capisce allora perché un medico debba essere accusato di un reato che non ha mai voluto commettere”.
Sin dall’insediamento, il governo ci ha abituati a nuovi reati e aumenti di pena. Qui il meccanismo è inverso: “Questa apertura si spiega guardando i molti professionisti (soprattutto giovani) che decidono di andare all’estero, dove la professione è più tutelata e meglio retribuita”, ci dice il presidente Anelli: “Negli anni i governi hanno dedicato attenzione più alle strutture del Ssn che al personale. Anche il Pnrr oggi è impiegato per cambiare le Tac, migliorare i fabbricati e costruire case di comunità. Ma bisogna puntare sui professionisti”. Oltre alla tutela legale, dunque, “serve un piano straordinario sulle professioni. Mancano infermieri, terapisti, psicologi e altre figure”, dice Anelli. “Se vogliamo sviluppare una vera assistenza territoriale si deve tenere conto di tutti quei professionisti che oggi non ci sono. Anche su questo bisogna agire”.