L'editoriale del direttore

L'agenda anti trumpiana di Mattarella

Claudio Cerasa

Le sventagliate importanti non sono solo su Gaza (cessate il fuoco sì, Palestina riconosciuta no). Sono anche altre. Oms, Onu, Mercosur, cialtropacifismo, anti putinismo, riarmo europeo. Capire il manifesto politico del capo dello stato

La sventagliata che oggi farà più notizia, tra le molte lanciate ieri dal presidente della Repubblica nel corso della cerimonia del Ventaglio, sarà ovviamente quella su Gaza, e le parole del capo dello stato, su questo fronte, non sono mai state così dure. Sergio Mattarella, ieri, di fronte a una platea di giornalisti, ha definito la situazione di Gaza “intollerabile” e “disumana”. Ha ravvisato un’ostinazione “a uccidere indiscriminatamente” quando si spara “su ambulanze e medici e infermieri che recano soccorso a feriti”, quando si prendono a bersaglio “bambini assetati in fila per avere acqua”. E ha poi ricordato, rispetto all’“incredibile” bombardamento della parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza, che quando si parla di errori, come da lezione di Seneca e sant’Agostino, bisogna sempre ricordare che “errare humanum est, perseverare diabolicum”. La sventagliata su Gaza, naturalmente, farà notizia, ma anche in questa sventagliata Mattarella, ieri, è riuscito a mostrare una forma di equilibrio speciale, unica in Europa, e nel denunciare la tragedia di Gaza, come è giusto che sia, ha scelto ancora una volta di stare lontano da alcune pericolose tentazioni. Nessuno scellerato riferimento demagogico al genocidio. Nessun riferimento propagandistico alla pulizia etnica. Nessuna tentazione non solo di fare un passo indietro nella lotta contro l’antisemitismo ma anche di inseguire la linea francese e quella inglese chiedendo magari alla politica di compiere un passo per riconoscere la Palestina, una mossa che al di fuori di qualsiasi trattativa, come sa bene Mattarella, altro non sarebbe che un regalo agli estremisti che non vogliono riconoscere lo stato di Israele. La sventagliata su Gaza, la sventagliata a favore della pace, la sventagliata a favore del cessate il fuoco immediato, farà notizia più di ogni altra cosa. Ma nel discorso di ieri del capo dello stato ci sono almeno altre sventagliate poderose che meritano di essere messe a fuoco e che riguardano tutte una volontà esplicita e saggia del presidente della Repubblica: fissare sul terreno di gioco il perimetro giusto per non cadere nelle trappole del trumpismo. E’ a Trump che si riferisce evidentemente Mattarella quando ragiona sul fatto che “molti protagonisti della vita internazionale oggi aspirano a essere temuti più che stimati e ammirati”. 

E’ a Trump che si riferisce evidentemente Mattarella, e anche ai suoi follower italiani, quando ricorda che l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, “è un punto di riferimento fondamentale per la sicurezza di tutti”, e dirlo oggi dopo la scelta del governo di ritirarsi trumpianamente dall’accordo pandemico globale dell’Oms non è stata certamente una scelta casuale. E’ a Trump che si riferisce evidentemente Mattarella quando ricorda quanto sia rischioso “demolire il ruolo dell’Onu, dei suoi organismi, delle sue agenzie”, con un pensiero naturalmente al taglio indiscriminato del progetto UsAid, fondamentale anche per l’Italia nella gestione e nel controllo dei flussi migratori in Africa. E’ anche a Trump che si riferisce evidentemente Mattarella quando ricorda che “la direzione giusta non può essere quella di tornare indietro, con la scelta di un mondo sempre in perenne conflitto”. E’ ancora a Trump, e ai follower del protezionismo, a cui si è riferito evidentemente Mattarella quando ha ricordato, indirettamente, che il modo migliore per rispondere ai dazi è quello di aprire i mercati, ed è quello di considerare accordi commerciali come il Mercosur, accordi su cui il governo nutre ancora dubbi, come collaborazioni non tossiche ma che producono “interessi comuni e prospettive condivise” e aiutano a “presidiare la pace”. Ed è sempre a Trump, o meglio ai pacifisti irresponsabili che hanno scommesso sul presidente americano per provare ad arrivare a una pace in Ucraina attraverso una resa alla Russia, a cui il capo dello stato evidentemente ieri pensava quando ha ricordato che “l’aggressione della Russia all’Ucraina ha cambiato la storia d’Europa”, quando ha preso per buone le convinzioni dei paesi baltici che temono che “la Russia, dopo quella all’Ucraina, coltivi il proposito di altre, nuove iniziative di aggressione, a scapito della loro sicurezza se non addirittura della indipendenza di alcuni di essi”.

Il pacifismo che sogna di usare Trump come una leva per costringere l’Ucraina alla resa è pericoloso, dannoso, tossico, e per questo, in un altro passaggio del discorso importante del capo dello stato, è stata lanciata un’altra sventagliata che chissà se verrà colta. La sventagliata è contro i cialtropacifisti, per così dire, che non capiscono quanto sia importante non solo non fare un solo passo indietro rispetto alla difesa dell’Ucraina e alla denuncia degli orrori della Russia, tema caro al capo dello stato, le cui parole di verità sul tema hanno portato il ministero degli Esteri russo a inserirlo nella lista dei russofobi da attenzionare nel mondo, ma anche considerare come un dovere assoluto, un dovere morale, dotare l’Europa di “adeguate capacità difensive”, per “essere attrice di sicurezza e promotrice di pace” e “rendere effettiva e non illusoria la sovranità dei suoi paesi membri”. Non c’è sovranità senza scommettere sulla difesa. Non c’è sovranità europea senza scommettere sull’Ucraina. Non c’è sovranità nazionale senza diffidare del trumpismo. Non c’è pace possibile senza denunciare gli orrori nel mondo evitando di cedere alla demagogia anche quando sarebbe facile farlo. Le sventagliate di Mattarella che meritano di far notizia non sono solo quelle su Gaza: sono tutte quelle che, con moderazione ed equilibrio, ricordano, anche al governo e anche all’opposizione, quali sono i paletti da non superare per evitare di alimentare la spirale tossica del populismo trumpiano, che ha seguaci pericolosi non solo a destra ma a volte anche a sinistra.
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.