
Il racconto
Giorgetti di seppia e di martello. Cauto sui dazi, duro con le banche: "Difendo l'interesse nazionale"
Risponde sui dazi, sulle banche, e dice che l'impatto vale mezzo punto di Pil, ma che è "prematuro" valutare. Leonardo acquista il comparto Difesa di Iveco. Alla Camera si rivede l'amico della Cina, il sottosegretario del Conte I, Geraci.
Più che il ministro Giorgetti sembra il poeta Montale. Parla dei dazi come il Premio Nobel dei suoi Ossi di seppia. Una valutazione dell’accordo Trump-von der Leyen? “Non si può trarre a oggi ma di sicuro l’intesa al 15 per cento chiude una fase di incertezza”. Le discussioni? “Sono ancora in corso”. L’’impatto dei dazi? “E’ dello 0.5 per cento di Pil nel 2026 ma dipenderà molto dai dettagli dell’accordo”. I ristori? “Parlare ora nel dettaglio di iniziative di contrasto sarebbe prematuro”. Abolire la web tax? “Valuteremo, ma non è negli accordi fatti in Scozia”. Iveco? “Vedrete” (viene ceduta da Exor agli indiani di Tata per 3.8 miliardi mentre il comparto Difesa passa a Leonardo per 1.7 miliardi). Anche Giorgetti cammina sui “cocci aguzzi di bottiglia”.
Se Italo Bocchino candida Meloni al Nobel dell’Economia, Salvini candidi il suo Giorgetti (ma è ancora suo?) al Nobel per la letteratura. Risponde al Question Time, su banche e dazi, e dice che “è presto per valutare l’impatto, ma di sicuro l’intesa scongiura la guerra commerciale”. Ci mette la firma (sui prestiti Safe che spiega Giorgetti “valutiamo interessanti perché più convenienti rispetto ai Btp”) ma ci mette anche il corpo, come il ministro Luca Ciriani, combatte, da sovranista, perché “non abbiamo difeso una banca” (e si riferisce alla milanese Bpm) ma “l’interesse nazionale”, e il “golden power su Bpm non è un veto ma prescrizione”.
Replica a Benedetto Della Vedova, indomabile, che lo insegue su Unicredit, sul risiko bancario, e che lo rimprovera di conflitto d’interesse: “Ministro Giorgetti, su Unicredit lei è arbitro e giocatore. State facendo i banchieri”. La Camera, che è già balneare, viaggia sulla linea ferroviaria Turnberry-Pesaro-Mergellina. Nelle Marche, il candidato Pd, Matteo Ricci, risponde all’interrogatorio del Gip e, notizia, avrebbe anche fatto sapere di possedere un audio che lo scagiona (il momento è così complesso che alla Camera si aggira Rocco Casalino). In Campania, a Napoli, Vincenzo De Luca continua a negoziare con Elly Schlein come Trump con gli indiani (a loro è toccato ieri il 25 per cento di dazi) perché se non eleggono il figlio Piero, segretario del Pd Campania, lui alza gli sfottò a 140 per cento (ha pronto un libro).
Da almeno un mese chi va al ristorante di Montecitorio ci trova, ogni giorno a pranzo, Igor Taruffi, Tarruffenko, lo spicciafaccende di Schlein, che tratta, tra una cicoria e una frittata con patate, con De Luca (Piero), perché tutti abbiamo un dazio da pagare. Come si può chiedere a Giorgetti “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo” quando ancora non si conosce la lista dei beni tassati, il vino sì o i farmaci no? Maria Elena Boschi che lo incalza sui ristori, lo interroga: “I 25 milioni promessi dal governo per le imprese ci sono o no? Ministro, ma lei perché fa il parafulmine dei Fratelli d’Italia, anzi, dei Fratelli dell’Illinois?”, e Giorgetti si ripara nel suo “è prematuro” che è il nuovo “meriggiare pallido e assorto”, la sola arma che rimane con Trump il baro. Non si capisce nulla.
In Transatlantico la vera sorpresa è la presenza di Michele Geraci, l’ex sottosegretario del Conte I, allo Sviluppo economico, l’amico della Cina, che racconta: “Dovete sapere che io e Conte siamo riusciti a convincere Trump a non mettere i dazi all’Italia. Purtroppo Meloni non ce l’ha fatta. Poi c’è Salvini che io sento…”. Ah, lei lo sente? “Sì, l’ho sentito poche settimane fa ma devo dire la verità: i cinesi sono infuriati con lui. Prima gli impedisci di investire in Italia e poi vai a Shangai? Non funziona. Lo hanno ricevuto per cortesia”. Sarebbe la giornata dei dazi e di Mattarella, ma il Pd e Avs, ingazati, la rovesciano sulla striscia, su Gaza, e sparano aggettivi sull’ostaggio Ciriani che risponde per conto del governo sulla politica estera. Ai Fratelli d’Italia, e di Ciriani, un po’ gli girano, come i francesi nella canzone di Paolo Conte, perché “Luca si immola, Luca lavora per tutti, ma Luca: da quando è ministro degli Esteri?”. Per Forza Italia ci sono i ministri Pichetto e Zangrillo ma gli sputi se li prende interi l’altro, Ciriani, la parte per il tutto. Nicola Fratoianni gli manda a dire: “Voi siete ipocriti, imbelli e complici. Vergognatevi!”, Schlein, che le va riconosciuto ha anticipato Macron e Starmer, continua a chiedere il riconoscimento dello stato della Palestina come hanno “già fatto Francia, Regno Unito e Malta”. (in serata Meloni chiama Nethanyahu: “Fermati! Ora”). Per fortuna, per il Pd, da Genova, arriva Andrea Orlano, l’unico che ancora, a sinistra, ragiona di acciaio, forni, dazi, Ilva, insieme a Vinicio Peluffo, l’esperto che il partito ha nominato commissario a Pisa. E’ ancora l’economia la vera debolezza del Pd. Di Iveco se ne occupa Carlo Calenda, di banche ora (novità) i 5s che annunciano un’audizione di 20 nomi eccellenti; meglio di Davos. Giorgetti? E’ perfetto nel suo ruolo di ministro lirico. Con Trump non chiedetegli la parola ma, come Montale, solo “qualche storta sillaba e secca come un ramo”.