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E' morta Adriana Asti, l'attrice che cercava un altro mondo

Alberto Mattioli

Nata a Milano nel 1933, il suo vero nome era Adelaide Aste. Ripeté sempre di non riconoscersi alcun talento, anzi di essere “una pessima attrice”. Mentiva felicemente come attesta una carriera teatrale e cinematografica ricca di successi
 

Alla fine, non è morta “durante una cena noiosa”, come prevedeva in un’intervista televisiva (come la capiamo, signora). Adriana Asti se n’è andata ieri. E, al di là dell’ammirazione per l’attrice, resta la nostalgia per l’Italia dove iniziò a recitare, i nostri favolosi Cinquanta e Sessanta dove, a parte letteratura, architettura, boom, la Callas, Totò e tutto il resto, avevano davvero il miglior cinema e la miglior televisione del mondo. Un’Italia dove le carriere nascevano un po’ per caso, poi però premiavano il talento. “Erano tempi molto spensierati: a piazza del Popolo, negli anni Cinquanta, c’era un andirivieni di artisti, bon vivant, scrittori”, raccontò Asti rievocando il primo incontro fra Pasolini e Fellini, uno anche sceneggiatore per Le notti di Cabiria, l’altro produttore mancato di Accattone, con tanto di profezia sbagliata: “Pier Paolo, non sarai mai un regista di cinema!”. Per inciso, in Accattone la giovane Adriana è una delle “piropatetiche”, come le chiama Franco Citti, che battono al Pigneto.

Lei era nata nel ’33, a Milano, vero nome Adelaide Aste, in una buona famiglia borghese anaffettiva da cui non vedeva l’ora di fuggire. “Appena sono stata grande, sono andata via di casa”, racconterà poi. Cercava un altro mondo, “e l’ho avuto facendo il teatro” che arriva nel ’51, un MiIes gloriosus a Bolzano, ma dopo che ha aveva già debuttato al cinema, giovanissima, in un corto di Dino Risi, Buio in sala. A Milano recita in una commedia di Enzo Biagi, Noi moriamo sotto la pioggia.

Arriva Strehler, la vede, la nota, la scrittura. Debutto al Piccolo, non esaltante: “Dovevo dire una sola battuta: quello francese, maestà? Dissi: quello mancese, fraestà?”. Il primo trionfo arriva con Visconti, Il crogiuolo di Arthur Miller (con Luchino farà anche Rocco e i suoi fratelli e Ludwig). Asti ripeté sempre di non riconoscersi alcun talento, anzi di essere “una pessima attrice”. Mentiva felicemente, come attesta una carriera teatrale e cinematografica con Buñuel, Pinter, Bertolucci, Bolognini, De Sica, Patroni Griffi, Bob Wilson, Ronconi, et excusez du peu. Nel palmarès ci sono anche Susan Sontag, rapporto pare burrascoso, e perfino Tinto Brass, con il tormentatissimo Caligola e il dimenticato Action. Teatro, cinema, ma anche un’intensa attività come doppiatrice e in tivù, dai mitici sceneggiati in bianco e nero del “programma nazionale” (uno per tutti: La fiera della vanità di Anton Giulio Majano, 1967, dove come Becky Sharp tiene testa a un monumentale Romolo Valli) alle miniserie edificanti tipo Karol – Un papa rimasto uomo (2006), dove è Madre Teresa di Calcutta. Ci sono anche, e qui la nostalgia diventa veramente canaglia, la prosa televisiva Rai e perfino quella radiofonica. In televisione condurrà anche un talk, uno dei primi, nel ’79, Sotto il divano, chiuso dopo un’ospitata di Brass che parlava delle cose di cui parla di solito.  

L’autobiografia, definita vezzosamente “piccola”, s’intitola Un futuro infinito ed è una delizia. Ci si trova il suo mondo, popolato di colleghi ma anche di intellettuali, poeti, scrittori, maghi, psicanalisti, primedonne di entrambi i sessi e altri eccentrici. A cena si va con Moravia, Gadda, Parise, la Natalia Ginzburg (che scrive per lei Ti ho sposato per allegria), in vacanza a Ischia con Visconti, mentre l’amica del cuore è Franca Valeri, che Italia. Ma poi comincia una seconda carriera, in Francia, dove Adriana è un’étoile forse anche più che da questa parte della Alpi. Con René De Ceccatty scrive un romanzo, Se souvenir et oublier, con Giorgio Albertazzi, Paolo Poli, Paolo Villaggio e Glauco Mauri Ragazzi terribili, da sola un altro romanzo, La lettrice dei destini nascosti.

Nel capitolo della vita privata, da segnalare una lunga relazione con Bernardo Bertolucci, incontrato grazie a PPP, e due matrimoni. Il primo, con il pittore Fabio Mauri, testimone di nozze Pasolini. Ma non va bene da subito, e un giorno lei esce di casa dicendo: vado a comprare le sigarette, e davvero non torna più. Il secondo, con il regista Giorgio Ferrara, definitivo, ma che fa scalpore perché lei ha quarant’anni e lui poco più di venti. Il testimone questa volta è Cesare Musatti, cui Asti ricorre per curare un misterioso malessere esistenziale e che diventa anche un grande amico. Quando, un paio di anni fa, la gloriosa signora si raccontò in un programma su Rai3, Aldo Grasso andò in estasi: “Che classe, che eleganza, che understatement!”. Parole non ci appulcro. Anzi sì, una: che nostalgia. Per lei, e per quell’Italia sì bella e perduta.

 

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