Il racconto

L'orizzonte di Draghi. È contro i dazi (e non solo di Trump) e contro l'asimmetria Ue-America

Carmelo Caruso

Non gli piace l'accordo tra Stati Uniti e Unione europea, si oppone allo squilibrio con Trump. È invocato da tutti ma nessuno lo ascolta. Meloni non lo chiama (ancora) e lui riceve solo a casa. Attesa per il discorso di Rimini

Roma. È al limone come il sorbetto: lo congelano nel bisogno e lo tirano fuori quando sono tristi. L’idea è sempre quella: “Se ci fosse stato Mario Draghi al posto di von der Leyen…”. L’ex presidente? Non parla fino al 22 agosto quando tornerà a Rimini, per il Meeting. Telefonate da Palazzo Chigi, da Giorgia Meloni? “Nulla”, ma vedrete, magari ne arriverà una perché la telefonata allunga l’articolo, e sposta l’attenzione. La segretaria di Draghi, la devotissima, dice che Draghi è sempre imprendibile, in movimento. Cosa pensa il presidente dell’accordo al 15 per cento, Ue-America? Non gli piace. Ma non lo dice. Aspettate. La speculazione è onesta, degli ex  ministri del suo governo: “Come gli può piacere un accordo sui dazi asimmetrico? Rileggetevi il suo piano”. Eccolo: “Le opportunità commerciali per le aziende della Ue e degli Usa devono essere eque e paritarie”. Trump? Mangiati questo sorbetto! 


Quando l’italiano è in difficoltà si rifugia nel complotto, l’uomo di chiesa nella provvidenza e l’Occidente in Mario Draghi. Il presidente francese Emmanuel Macron (che “mostra i bicipiti e se li palpa”; lo scrive Emmanuel Carrère) lo sogna, ancora, al posto di Ursula; in Italia, Matteo Renzi lo desidera al governo, alla Nato, all’Onu, in cucina, in giardino, ovunque. Draghi? E’ come lo Zazà della canzone di Gabriella Ferri. Il suo ex sottosegretario agli Affari Europei, Enzo Amendola, il meridiano del Pd, si domanda, “dove sta, dove sta?” e dice: “L’accordo Trump-von der Leyen è stata la partita di golf più cara della storia dell’Europa. La presidente dei Commissione sembrava il caddy di Trump. Mancava poco e ripuliva il campo”. Dove sta? Lo staff del presidente: “Immaginatelo prendere un volo, immaginatelo in aeroporto”. L’ultima volta che ne abbiamo scritto stava andando ad Atene per una conferenza. A Roma, dove incontrarsi è un mestiere, si registra la novità (e la registrano i boiardi di stato): “Il presidente Draghi preferisce ultimamente dare appuntamento a casa, per evitare occhi indiscreti”. Ma di Trumpaccio cosa pensa, cosa dice dell’accordone di Turnberry, il nostro otto per mille (in verità il 15 per cento) all’America? Si torna al Draghi I, unico, e si va a strascico ma questa è la buona pesca, la zattera degli uomini e delle donne dalle buone maniere: “Cosa volete che pensi di Trump? Il presidente Draghi ha sempre avuto un giudizio negativo. Draghi non avrebbe mai accettato di negoziare nel golf club di un presidente. Il discorso di Rimini dal titolo “Quale orizzonte per l’Europa?” sarà un grande discorso. Sferzerà la Ue supina, illuminerà la sua debolezza”. Se ci fosse stato lui? Riprendiamo il piano, Draghi, che Ursula ha commissionato all’ex premier e finito in libreria insieme al libro di Dickens, “Grandi speranze”.

 

Scriveva Draghi che l’Europa ha di fronte “una sfida esistenziale” e che i “valori fondamentali dell’Europa sono la prosperità, l’equità, la libertà, la pace e la democrazia in un ambiente sostenibile”. Sulla sostenibilità dei dazi ha dei dubbi perfino Claudio Lotito, il presidente della Lazio, senatore di Forza Italia, che alla Camera ci racconta: “Trump non è roba per von der Leyen. Io lo conosco indirettamente. E’ un bambinone. Con lui devi osare: quando abbaia, deve abbaiare, come fa la moglie che, da quanto mi dicono, vuole lasciarlo”. Pure? Ricordate cosa disse Draghi di Erdogan? “E’ un dittatore e bisogna essere franchi nell’esprimere la differenza di vedute, di comportamenti, di visioni”. Uno che davvero conosce il presidente è il professore Giavazzi, l’amico, ma il prof., di questi tempi, scala le montagne e quello che aveva da dire su Trump lo ha scritto sul Corriere: “Imporre dazi è certamente un modo, ma il più stupido, e uno dei meno efficaci anche per gli Usa”. Passa Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato, e  chiediamo: “Se ci fosse stato Draghi?”, e Romeo: “Eh! Se ci fosse stato lui alla guida dell’Europa non avrebbe messo i dazi interni. Mi rifaccio a quello che diceva nel suo piano”. Vedete? Anche Salvini prima o poi lo dirà: se ci fosse stato lui! Di sicuro avrebbe condiviso la passione della lettura con il ministro Carlo Nordio che spiega i dazi e gli americani con il suo amato Churchill: “Lo diceva il grande Winston: gli americani hanno il vizio di farsi il bidet in pubblico e di fare bere l’acqua agli alleati e diceva pure: gli americani? Sono quello che sono ma sono gli unici che abbiamo”. Draghi? Ce n’è uno solo come Zazà che si “fumarono nel momento culminante del finale travolgente…”. Dell’Europa. Se ci fosse stato lui? Con Trump ormai solo i sogni non hanno dazio.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio