
Dolcetto dazio
"Dazi? La partita è aperta", dice Angelo Gaja. Viaggio tra paure e speranze del vino
Da Angelo Gaja ad Anselmo Chiarli fino a Petrolo e Bisol. Parlano i produttori di vino
“Sui dazi bisogna aspettare”, dice al Foglio Angelo Gaja, da sempre noto come il Mozart del vino e dunque fiducioso di vincere le dolenti note di Trump. “Sul vino è ancora tutto da vedere – aggiunge – e giustamente Meloni ha detto che la partita al 15 per cento non è ancora chiusa. Almeno non per noi. Non per vino e spiriti”.
La presidente del Consiglio auspica infatti di poter lavorare ancora per ottenere delle esenzioni. E il suo vicepremier, Antonio Tajani, specifica che nella deroga si vorrebbero far rientrare farmaci e vini italiani. Angelo Gaja, dunque, il re del Barbaresco che produce 300.000 bottiglie all’anno, non perde il sorriso. E, insieme a lui, altri produttori guardano con apprensione, strategia, e tutto sommato con ostinata fiducia al tavolo negoziale. Sia che producano grandi numeri sia che possiedano aziende-boutique.
Anselmo Chiarli, che insieme al fratello Mauro produce oltre 20 milioni di bottiglie – Chiarli è noto soprattutto per il Lambrusco e altri vini emiliani, fermi e frizzanti – vede nei dazi una grana ulteriore. “Il vino sta già soffrendo, in un contesto in cui i dazi al 15 per cento si sommano all’altro 15 di svalutazione del dollaro. Ecco: non conosciamo gli esiti sul mercato, ma 15 più 15 diventa pesante. Senza considerare che il consumo di vino è in crisi ovunque, con o senza dazi, perché i costumi sono cambiati”. Ovvero perché le giovani generazioni, nei paesi con il più alto livello di benessere, bevono meno. E tuttavia anche Chiarli, interrogato sulla possibilità delle esenzioni, dice: “E’ quello che ho pensato dal primo giorno. Spero, ma con senso di realtà, che succederà quel che successe l’altra volta”. E cioè che Trump grazierà il vino italiano a differenza di quello francese. “Chissà. Adesso ho la sensazione che la politica non possa fare più di tanto, ma fino all’ultimo bisogna avere fiducia”.
Sul cambio di costumi che incide più della dogana insiste ancora Luca Sanjust, proprietario di Petrolo, produttore in Valdarno di Sopra del Galatrona (Merlot in purezza) e del Bòggina bianco (Trebbiano). “Non ci sono solo i dazi – dice Sanjust – ma pure la svalutazione del dollaro, la congiuntura economica sfavorevole, la sovrapproduzione e la contrazione dei consumi del vino dovuta in larga parte alla sua demonizzazione”. Petrolo produce meno di 90.000 bottiglie di pregio. Il suo mercato, negli Stati Uniti, rappresenta il 15-20 per cento del totale. “E’ evidente che i vini di alta e altissima gamma soffriranno meno. O forse, addirittura, non soffriranno affatto. C’è chi prospetta, dai vini medi in giù, scene da tempesta perfetta. E chi è moderatamente più ottimista. Negli Usa, comunque, si tende a condannare il vino. Storicamente, questo non era mai successo. Adesso lo si associa ai superalcolici. Quanto alle esenzioni, non si può che avere fiducia. Anche se rispetto alla precedente amministrazione Trump la speranza è calata”.
Gianluca Bisol, direttore generale di Bisol1542, una delle più importanti e antiche aziende produttrici di prosecco, pensa che quella dei dazi sia “una scatola ancora da aprire”. Il marchio Bisol conta 560.000 bottiglie, un fatturato di 22 milioni, 20 poderi in alta collina e un mercato statunitense importante (circa un terzo del totale). Gli effetti, dice Bisol, “si vedranno solo nel lungo periodo, perché gli importatori hanno finora intensificato le vendite, hanno stipato le navi in previsione dei dazi, e hanno venduto molto di più dell’anno scorso nello stesso periodo. Per il resto, è ovvio che il 15 per cento si tradurrà in un aumento di diversi dollari a bottiglia. Ma se penso al 200 per cento vagheggiato ad aprile, il 15 mi sembra una soglia ancora sostenibile, quasi ragionevole. E non è detto che non arrivi l’esenzione”. Si spera. Ma se non dovesse arrivare? “Se non ci sarà, dovremo studiare in Europa un supporto efficace”, risponde il dg, veneto e ottimista. “Un supporto per essere più forti dal punto di vista del marketing. Oggi esiste l’Ocm Vino, per esempio. Esistono cioè fondi europei per la promozione in paesi extraeuropei. Un’idea è quella di intensificare questi fondi per la comunicazione, che è cruciale come la presenza fisica. Io visiterò a settembre 10 stati americani per avere il polso della situazione”. Intanto, tra fiducia e previsioni, raccogliamo l’appello al governo di Giacomo Ponti, presidente di Federvini, che al Foglio dice: “Servono unità d’intenti e capacità di negoziazione per difendere il nostro agroalimentare, che rappresenta un patrimonio economico ma anche culturale”. In altre parole: la bottiglia è ancora mezza piena.