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il colloquio

“Fiducia in Sala, ma sull'urbanistica il Pd è timido”, dice Morassut

Francesco Gottardi

“Si è creato un cortocircuito amministrativo”, dice il deputato dem, che denuncia la confusione normativa e la fragilità delle città nei processi di trasformazione. “Così si rischia la dittatura urbana, servono regole semplici ma rigorose”

Non c’è “nulla in comune” tra la sua Roma e la Milano di oggi, al centro dell’inchiesta. “La giustizia chiarirà se sono state commesse irregolarità”, dice al Foglio Roberto Morassut, deputato dem e storico assessore all’Urbanistica capitolina sotto la sindacatura di Walter Veltroni. “Ho fiducia nella buona fede della giunta Sala: si è venuto però a creare un cortocircuito amministrativo. Perché alcuni procedimenti sono stati fatti secondo la legge lombarda, ma in conflitto con la legge nazionale. E questo in un paese normale non può esistere. Dispiace che nemmeno un partito progressista come il Pd non affronti il tema di fondo: di fronte ai grandi processi di trasformazione economica globale, le città sono deboli. L’edilizia ha un ruolo centrale e l’Italia una legislazione incasinatissima. Che porta a corsi e ricorsi continui, fino a Milano”.


Insomma, fare l’assessore all’Urbanistica significa infilarsi in un ginepraio. “Era così anche vent’anni fa”, dice Morassut, quando all’epoca conduceva l’approvazione del Nuovo Piano Regolatore Generale di Roma, “il culmine di un decennio di lavori e confronti sul territorio. Il vecchio piano – allora in vigore dagli anni Sessanta – era sovradimensionato, disegnato per una città da 6 milioni di abitanti. Per restituirle proporzioni congrue abbiamo optato per un riformismo che parlava a destra e a sinistra, portando a casa un prodotto che garantisce flessibilità delle norme e tutela dell’interesse pubblico”.  Il parlamentare riconosce che “anche il nostro intervento ha fatto discutere nel tempo, e purtroppo non è mai stato applicato a dovere. Ma non abbiamo mai ricevuto un pezzo di carta da una procura che fosse una. E tutti i ricorsi fatti contro il nuovo Prg di Roma – amministrativi, civili, contabili – sono stati vinti”.


Questo sì, un motivo d’orgoglio rispetto all’attualità. “Non è ammissibile realizzare grandi trasformazioni urbane in Cila”, leggasi Comunicazione di inizio lavori asseverata, pratica edilizia sempre più diffusa. “Ma deve restare un procedimento di ristrutturazioni semplici: non si può utilizzare per buttare giù i muri e cambiare l’assetto del territorio, a discapito dei cittadini. È un fatto democratico imprescindibile”. E anche per questo Morassut, smarcandosi dal Pd, si è sempre dichiarato contrario al decreto Salva-Milano. “Non condividevo i contenuti, l’ho fatto presente al mio gruppo e non l’ho votato. La legislazione dev’essere semplice, non semplificata fino all’eccesso. Altrimenti si sfocia nella dittatura urbana”.


Morassut ha la controproposta pronta sin dal 2016. “Avevo presentato un emendamento alla legge di stabilità, per correggere il testo unico dell’edilizia e introdurre il cosiddetto contributo straordinario”, spiega. “Laddove ci sono delle modifiche di valore, gli utili delle trasformazioni urbane vanno suddivisi fra comune e soggetti privati. Ebbene. A me fece ricorso la regione Veneto. Zaia. Persero al Tar, al Consiglio di Stato, alla Corte costituzionale: era una norma perfetta, eppure non viene quasi mai applicata. Uno scandalo”. Motivo? “I privati la vedono come una limitazione economica, le amministrazioni un freno ai progetti urbani. Sono autocritico per il disinteresse della mia parte politica. E ipercritico verso la destra, che ha prodotto questi miti ai quali noi purtroppo abbiamo aderito trasversalmente”. E adesso? “A Milano si riparta da zero, con procedimenti ordinari più lunghi ma a tutela dell’interesse pubblico. Urge però una discussione che porti a una nuova legge nazionale: pochi principi urbanistici chiari, a cui sottostare tutti”. 

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