Il caso

La Polizia italiana veste “Made in Bangladesh”

Gianluca De Rosa

Il Viminale ha appaltato la produzione di camicie per le forze dell'ordine a un'azienda che produrrà in tre paesi extra Ue: Cina, Egitto e Bangladesh. L'interrogazione del leghista Stefano Candiani al ministro del Made in Italy Adolfo Urso

Il paese che ha deciso di cambiare il nome del suo ministero dello Sviluppo economico in ministero del Made in Italy, per fornire anche con l’onomastica un indirizzo politico chiaro, può vestire le sue forze di polizia con camicie “Made in Bangladesh” o “in Cina” o ancora, per rimanere più vicini, prodotte in Egitto? Secondo Stefano Candiani, deputato della Lega, si tratta di una scelta imbarazzante. Eppure a prenderla è stato poco tempo fa il Viminale. Nel corso di una procedura di gara per la fornitura di "capi di vestiario destinati alla Polizia di stato" articolata in più lotti – ha spiegato oggi Candiani nel corso di un question time a Montecitorio – il ministero ha comunicato all’azienda vincitrice del lotto per la fornitura di 60 mila camicie, che sì, per la produzione si poteva andare in paesi extra Ue. In particolare, la richiesta dell'azienda riguardava la produzione in Bangladesh, Cina ed Egitto. “Risulta quindi possibile – ha detto il leghista – l’affidamento tramite fondi pubblici della produzione a paesi terzi dove i costi e le tutele del lavoro non sono comparabili con quelli italiani. Tale scelta appare in contrasto con la linea politica del governo, in particolare su forniture così simboliche”. La cosa ha imbarazzato il ministro che all’interrogazione doveva rispondere, il titolare del Made in Italy Adolfo Urso. Con le nuove linee guida del ministero per l’attuazione della legge del Made in Italy del 2023, ha assicurato, si garantiranno le produzioni italiane ed europee nelle gare pubbliche. Urso ha detto di averle firmate proprio due giorni fa. Insomma, il futuro sarà “Made in Italy”, per adesso invece la polizia resta “Made in Bangladesh”. 

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