Ansa

dopo le accuse

La Pietà di Sala davanti a una città senza eredi e senza coraggio

Carmelo Caruso

Processato politicamente, il sindaco di Milano resiste mentre  attorno a lui si muove un coro tragicomico di dimissioni, accuse, cravatte bordeaux e consiglieri da satira involontaria

E’ la “Pietà” di Beppe Sala, dolore su tavola: sembra il Cristo di Bellini a Brera. Rimane sindaco perché “le mie mani sono pulite”, “voglio proseguire nell’incarico”, “ho affrontato cose cento volte più gravi”, ma è trasfigurato, con la faccia del Cristo in croce, dell’uomo alla colonna quando a cuore aperto rivela che “l’indagine è fonte di grandissima sofferenza. Non riusciranno a destabilizzarmi”. Non si dimette ma lo fa il suo assessore all’Urbanistica, Giancarlo Tancredi, resta sindaco (“sì, ho pensato di lasciare ma mio padre mi guarda”) ma avvisa il Pd: “Se la maggioranza c’è, io ci sono, con tutta la voglia e la passione”. C’è profumo di ghigliottina, Palazzo Marino invaso, telecamere, Tg1, Tg2, Tg3, Sky Tg 24, le dirette. C’è odore di bugliolo e si tornano a sognare monete e cessi alla turca, la galera verticale al posto del bosco di Stefano Boeri.

 

Un modello d’Italia, di sviluppo, acclamato nel mondo, invidiato, precipita in un pomeriggio di luglio, 27 gradi, soleggiato, nell’indifferenza della città, a eccezione dei marxisti, Potere al popolo, con i manifesti “Sala vattene” perché qui anche la crocifissione ha il wi-fi gratuito.  Precipita sotto la volgarità e la rozzezza di un consigliere comunale di FdI, Enrico Marcora, che immagina Sala con il pigiamone da galeotto (si difende in Consiglio così: “La mia era solo satira”) questo Marcora che dovrebbe far arrossire di vergogna Giorgia Meloni e da quanto racconta Sala l’ha fatta arrossire perché, dice il sindaco: “Ho segnalato il suo gesto ai vertici del suo partito, al presidente del Consiglio e del Senato”. Non c’è Paolo Brosio dal Palazzo di Giustizia, ma il direttore di Libero, Mario Sechi, che ricorda l’ultima volta in quest’Aula, stretta, da Consiglio Comunale: “Era per Tangentopoli”. Non c’è ancora il cappio esibito, quello del leghista Leoni Orsenigo, ma c’è la vicesegretaria della Lega, Silvia Sardone, europarlamentare, consigliere comunale, che al Foglio dice: “E’ il Pd che sta usando Sala come capro espiatorio. Il sindaco non si scollerà dalla sedia perché non ha trovato ancora l’altra. Porta la città in agonia”. Paga quest’assessore, il “tecnico”, Tancredi, che viene abbracciato prima della seduta e anche lui ripeterà “pulita”, come Sala: “La mia coscienza è pulita e questo gesto spero che sia d’aiuto per una maggiore serenità”. Lo sacrificano come l’agnello e si sente quasi Aldo Moro quando in Consiglio chiede: “Sarà interessante vedere come cambierà l’urbanistica a Milano senza il capro espiatorio”. Si bruciano streghe o probabilmente innocenti bevendo Negroni. Non è il 1992 e non c’è ancora la “mazzetta fumante”, ma ci sono 74 indagati, già condannati dalla piazza, non c’è la banconota che è l’eros italiano ma la voglia matta di fare “pulizia”, questa parola che maneggiano sinistra e destra a parti invertite. Racconta Alessandro Capelli, segretario del Pd Milano, destinato a prendersi sulle spalle Sala, come Enea si prese Anchise, “che il posto  di Tancredi non lo vuole nessuno. Hanno tutti paura. Sarà adesso importante la scelta. E però ce la faremo”. Si è arrivati al verde. (segue nell’inserto III)
 Si è arrivati al verde in ogni senso, anche con la fantasia, la speranza, e non è  il verde urbano, il verde delle piante. I milanesi (ma quali? Quelli dei talk di Rete 4?) vogliono ora il verde, militare, contro i maranza, perché non è vero che il verde porti fortuna, anzi, scriveva lo studioso Michel Pastoureau, “il verde è sempre associato a tutto quello che non dura, a tutto quello che gira: l’amore, la buona sorte, il gioco. Il verde è colore chimicamente instabile”. Un sindaco che è stato candidato a tutto, perfino a guidare un governo, deve presentarsi in Aula processato da questi consiglieri, “il Comazzi”, “il Truppi” che gli scatenano la bile di una vita, ripudiano Milano (che è anche quella dei sindaci Albertini-Moratti) quella Milano che ha dichiarato il docente del Mit, Carlo Ratti: “E’ rinata. Milano non deve chiedere scusa”. Dice Sechi, con il taccuino e la penna, instancabile, che “Milano io la ricordo. C’era un tempo in cui tutti noi giornalisti volevamo fuggire mentre ora è la città dove tutti vogliamo tornare. Più che il destino di Sala mi interessa la svolta che vuole dare il Pd alla città”. Ci sono per il Pd la senatrice Simona Malpezzi, che ci mette la faccia, “Beppe non si deve difendere da nulla”, Ivan Scalfarotto di Italia viva, Silvia Roggiani, segretaria del Pd Lombardia, e c’è in tribuna anche il presidente del primo municipio, Mattia Abdu che incita Sala a continuare, a “finire il suo programma”. Per la destra è la claque del Pd e per il Pd, dice Capelli, “è la prova che il sindaco ha il nostro sostegno ma serve un nuovo progetto perché i bisogni sono evoluti”. I bisogni o la furia? Nessuno ha mai visto Sala così turbato, nessuno, prima d’ora, gli aveva sentito dire: “Sono giorni confusi, dove le certezze vacillano e le fisionomie più note si confondono”. Era il sindaco che ha sconfitto il tumore, i record, prima dell’avviso di garanzia che non ha ricevuto, ma “appreso dai giornali”, tanto da fargli chiedere: “Non intendo dare giudizi sull’operato della magistratura ma non posso evitare di raccontare la mia versione. Ricordo a chi approfitta pubblicamente della mia situazione che oggi a me, domani a te”. Parla per oltre trenta minuti, interrotto da Marcora, l’Orsenigo minore di FdI, e indossa una cravatta bordeaux, che è il rosso che bolle, il colore dei pugni in aria. E’ sconvolto ma preciso quando inizia la difesa e assicura: “Tutto ciò che ho fatto nell’arco delle due sindacature, di cui ho avuto onere e onore, si è sempre esclusivamente basato sull’interesse dei cittadini e delle cittadine. Non esiste una singola azione che possa essere attribuita a mio vantaggio”. Quarantaquattro consiglieri lo guardano un po’ morire, omaggiare il padre che gli ha insegnato “fai quello che vuoi nella vita ma ricordati che io ti guarderò e vorrò essere certo che starai facendo il tuo dovere fino in fondo”. Gli vengono contestate “false dichiarazioni”, “induzione indebita a dare e promettere utilità” per il cosiddetto Pirellino, la cessione, e poi l’asta, ma spiega Sala: “Abbiamo fatto una modifica, imponendo al nuovo costruttore che almeno il 40 per cento della superficie abitabile venisse riservata a edilizia residenziale sociale, ma il costruttore ha fatto ricorso”. E poi continua elencando la selva di sentenze: “Il Tar ha considerato corretta la nostra modifica, ma successivamente il Consiglio di stato l’ha annullata, osservando che il comune non ha tenuto conto del legittimo affidamento. Il mio racconto fa capire quanto il comune si sia sbilanciato in favore dell’interesse pubblico”. Dicono al comune che il prossimo assessore potrebbe essere Franco Gabrielli, un poliziotto, uno che “può dialogare con la procura”, altrimenti salta la vendita di San Siro.

Ha ragione Sala quando domanda: “Ci fa paura la verticalizzazione di Milano? Io penso sia sbagliato averne paura”. Si sono già sottomessi alla necessità di chiedere il permesso, in anticipo, ai magistrati, è finita l’allegria, l’idea che la laboriosità possa battere l’indolenza, battere il “lascia perdere, poi ti indagano”. Dice la consigliere del Pd Beatrice Uguccioni, in Aula: “Ricordatevi di uomini come Filippo Penati e Pietro Tatarella, indagati e con le vite stravolte, e poi assolti”. Sala? Va rimproverato per non averla costruita. Solo una torre manca a Milano: il Bosco orizzontale dei politici azzoppati.

Carmelo Caruso
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio