
Il racconto
Schlein "scarica" Sala. Solo una telefonata di rito. Difeso da Crosetto e dai riformisti Pd, ma inseguito da pm e Conte
L'assedio al sindaco di Milano continua, il suo assessore Tancredi pronto a dimettersi. Il partito si spacca. La nota di sostegno è del segretario metropolitano. Majorino: "Voltare una pagina". Una telefonata a tarda sera e di rito
Finiranno per dire: Sala, chi? La procura di Milano lo indaga ma il Pd lo tratta come Johnny Stecchino: “Non mi somiglia per niente”. Nove anni di amministrazione di centrosinistra vengono difesi, ufficialmente, da un segretario metropolitano, Guido Crosetto abbraccia Sala al posto di Schlein. Dice Giuseppe Conte al Foglio: “Chiedete al Pd perché Sala non è difeso dal Pd”. Spiega Alessandro Cattaneo, ex sindaco di Pavia, di Forza Italia: “Non è la magistratura che vuole le dimissioni di Sala ma i suoi”. Doveva federare la sinistra e somiglia ora al Tunda di Roth, “più solo al mondo non c’era che lui”.
Può un partito far finta che Milano sia stata amministrata per nove anni da un estraneo, quel Sala che avrebbe voluto Schlein assessore del comune di Milano? La destra fa la destra, ma alla sinistra servono ore per rispondere (e rispondono i riformisti, i milanesi) all’attacco di Ignazio La Russa che parla di “decreto Salva Milano come decreto Salva Giunta Sala”. Il comunicato ufficiale è a firma di Alessandro Capelli, segretario Pd Milano, ed è un comunicato prudente perché “anche per noi è importante capire bene i contorni dell’intera vicenda”. A Milano, al Comune, raccontano “che è vero, c’è stata una telefonata fra Sala e Schlein” ma manca l’affetto, non c’è l’abbraccio, ma solo l’attesa che le dimissioni dell’assessore all’urbanistica, Tancredi (“Sono pronto a dimettermi”) vengano accettate da Sala.
A Roma, la capogruppo alla Camera del Pd, Chiara Braga, che pure si è battuta per il Salva Milano, non dichiara, come non dichiara Peppe Provenzano che scrive lettere, intense, a Repubblica, sulla verità Sofri-Violante. Se ne vergognano tutti, nel Pd, di quel decreto, il Salva Milano, se ne vergognano le donne e gli uomini della segretaria, si vergognano come fosse zolfo di quel decreto che si rifiutarono di votare Orfini, Amendola, Provenzano, Morassut, Orlando, perché, così si dice al sud, “avevamo snasato che non funzionava”. E’ stato poi Francesco Boccia al Senato a mandarlo in un binario morto. Ma chi ripara? Si può di fronte a un errore rispondere come Totò “in galera vi mando!”, si può governare un paese senza sviluppo? Si può pensare che ogni secchio di cemento equivalga a corruzione, si può risolvere (ed è questo che pensa il Pd) il problema dell’abitazione facendo tabula rasa, purgando dalla memoria il suo sindaco e l’agrimensore della città, Boeri? Fino a quando si scrive si attende una nota di Schlein ma Schlein è a Napoli e non vuole che venga sporcato l’evento della giornata, il passo indietro di Vincenzo De Luca, il suo appoggio a Roberto Fico. Lia Quartapelle e Alfredo Bazoli capiscono per primi che non ci sarà nessuna solidarietà al sindaco, se non la loro, e iniziano con una nota di sostegno. E funziona. Li seguono a ruota Giorgio Gori che ricorda che il “75 per cento degli indagati risulta innocente”, Cuperlo, Silvia Roggiani, Filippo Sensi che scrive “nei momenti difficili, delle verità facili, si sta e non si molla o fischietta. Fiducia in Beppe Sala”. Interviene anche Alessandro Alfieri, il riformista, che da segretario del Pd Lombardo chiese a Sala di candidarsi e che “esprime piena fiducia”. E però il più caldo con Sala, ed è il bel paradosso della civiltà, è il rivale, il ministro Crosetto, di FdI, che scrive: “A Milano una parte della magistratura inquirente ha anche deciso di sostituirsi al legislatore, nel campo dell’urbanistica, del fisco, del lavoro attraverso interpretazioni che a me sembrano, in molte parti, lontane dalle disposizione di legge”. Cosa ne è della presunzione d’innocenza? Alla Camera c’è Roberto Zaccaria, ex presidente Rai, che è stato deputato del Pd nel collegio di Milano, che rivela: “Io conosco personalmente l’imprenditore Manfredi Catella. E’ un amico, l’ho presentato a Roma, a Walter Tocci, per farlo investire. Io la presunzione d’innocenza la farei valere. Abbandonare Sala significa abbandonare un’idea di Milano”. Passa Giuseppe Conte che ha sempre la sua rivincita e che spiega ad Augusto Minzolini la vita, il diritto e lo skyline perché, dice Conte, “non si può svendere una città al Qatar. Il Pd alla Camera ha votato il Salva Milano, ma al Senato no, forse si è rinsavito grazie a noi”. Si vanta, giustamente, di essere la boa morale del centrosinistra. Il Pd di Schlein lo segue. Pierfrancesco Majorino, che studia da sindaco, dice che “Sala deve andare avanti, ma serve voltare pagina” ed è l’idea del nuovo Pd, l’idea che per rivincere Milano si debbano “cancellare” i grattacieli, far dimenticare Sala. Ma non c’è stato anche il Pd a tenere la penna, insieme a Sala, a scrivere quelle pagine? Era la città più desiderata e ora è la più sputazzata, come Campobasso, e sia lode a Campobasso, la sede Rai dove temono di finire tutti i giornalisti Rai neoassunti. Sala, chi? Lui non ha mai voluto prendere la tessera del Pd e il Pd sta per liberarsi di un’altra chimera, ma a che costo? Dice Alfieri al Foglio che “un partito deve difendere sempre i suoi amministratori ma ancora di più difendere Milano che è la vetrina del riformismo”. Cosa è oggi Milano? E’ un inferno o è sempre la Milano con gli occhi al cielo? Natalia Aspesi, 96 anni, la firma che l’ha raccontata insieme a Scalfari, Bocca, Montanelli, Biagi, Pansa, dice al telefono: “Delle indagini sa che le dico? Me ne frego. Sono contenta di vivere a Milano che è e rimane un luogo magico”.