Il racconto

Meloni e quinoa. Stallo a destra sulle regionali. Salvini: "Benissimo" ma manca l'accordo

Carmelo Caruso

Il vertice Meloni-Salvini-Tajani-Lupi non risolve il nodo Veneto. Unica certezza sono le Marche. In Campania in pole il pupillo di Fitto. Ipotesi election day per le altre regioni. La dissimulazione di Salvini che vuole "ingabbiare" Zaia

Ottimo, niente. Dice Salvini: “Il vertice è andato benissimo” ovvero “nulla”. Non c’è accordo. Sono di quinoa e di governo ma lasciano a digiuno chi si attendeva i nomi dei candidati di centrodestra in Veneto, Campania.  L’atteso pranzo Meloni-Tajani-Salvini-Lupi, con piatto di quinoa, non sazia, ma strazia, di caldo. A Milano tremano giunte, Giuseppe Conte chiede la testa di Beppe  Sala, Salvini abbandona in anticipo e Tajani riferisce dei suoi incontri americani con il segretario di stato Rubio. Il finale? Non c’è finale se non l’orientamento di votare nelle Marche il 20 e 21 settembre. La giornata del “fuori i nomi” finisce con “abbiamo idee e nomi”. In Campania si fa spazio Giosi Romano, il pupillo di Fitto, in Veneto il brand “Zaia” dovrebbe finire sotto lo spadone della Lega. Riprende forza l’idea di un election day a novembre per le altre regioni. Alle 13,40 arriva Tajani, Lupi a piedi, Meloni capotavola. Di  ufficiale c’è solo il “benissimo” di Salvini, il “non abbiamo parlato di regionali” di Tajani. Dice Giovanni Donzelli, il grigio belpelo di FdI che “ve la spiego io: hanno affrontato le grandi questioni, mangiato e infine detto: ci aggiorniamo”. A pagare e candidare c’è sempre tempo.


La giornata del verticione Meloni-Salvini-Tajani-Lupi sulle regionali si ammoscia di fronte alle richieste di arresto dell’assessore all’Urbanistica di Milano, del costruttore del Bosco Verticale, Manfredi Catella. Il resoconto del pranzo, della riunione è: “Hanno parlato tanto, di tutto, tranne che …”. Di elezioni regionali. Tajani si prende la scena e fa il diario del suo viaggio, 28 ore intorno al mondo, relaziona sui dazi, sul colloquio con il Rappresentante commerciale americano, l’ambasciatore Jamieson Greer (ha incontrato anche Nancy Pelosi e i cinque deputati italo americani). Si scatena fuori da Chigi una sarabanda di destra, gocciolano richieste di dimissioni dal Naviglio fino al Tevere. La cronaca (giudiziaria) offre un formidabile diversivo a Salvini che a Zaia ha davvero promesso qualsiasi cosa, incarico, ruolo, e sul serio, “che problema c’è?”. Somiglia a quel parcheggiatore che fuori dal ristorante garantisce delizie salvo dimenticarsi che a cucinare e disporre non è lui. L’aria a destra non è buona, ma come dice Nico Stumpo, il Tommaso Campanella del Pd, “a destra litigano, si scornano, ma alla fine, quando c’è da spartirsi regioni e cariche trovano intese magiche”. Ora, a destra, sono convinti che la Campania, e lo dicono i pesi massimi di FdI, Lega, sia contendibilissima perché “tutti gli elettori di De Luca, tra Fico e un civico di destra possono scegliere la destra”. Mezza Camera assiste allo strepitoso battibecco, perfino amabile, da sposi dolcissimi, fra Paola Taverna-Igor Taruffi, il compagno Taruffenko che (sentite un po’ che parolona da giornalismo sassone) sono gli “sherpa” di Conte e Schlein per quanto riguarda le regionali. Tutti pensano: “Guardateli, stanno litigando per Vincenzo De Luca, per la Campania” e invece litigano per Milano per la velocità del M5s, per la furia scatenata contro Sala. Gira sui telefoni la dichiarazione di Conte che chiede al sindaco di trarre le conseguenze e si parla di mozione di sfiducia a Sala da parte del M5s che però, a dirla intera, non ha un gruppo in Consiglio Comunale di Milano. E’ tutto un “ti faccio vedere io” che si scuoce in vabbè “faccio la mia parte di voce grossa”. Ogni leader tiene base e famiglia. Tajani ripete, con il sorriso, di essere il ministro più sfigato della storia, ma, detta con rispetto, anche chi deve seguire questo vertice si sente sfigato come Tajani. Salvini che entra in Aula, e che deve rispondere alle domande sul famoso “chiodo” di Roma Termini (c’è ormai Andrea Casu del Pd che lo insegue fino a Bardonecchia al grido: “Salvini, gli unici sabotaggi ai passeggeri sono i tuoi”) fa pure il simpatico: “Il candidato in Veneto? Io”. Entra a Chigi con il suo responsabile Enti Locali, Stefano Locatelli, ma se ne esce con mezz’ora d’anticipo, per venire a rispondere, ufficialmente, al Question Time, lasciando così, con i tovaglioli sulle gambe, Tajani, Meloni, Lupi. La contesa Veneto adesso si è spostata non tanto sul candidato, che sembra alla fine destinato alla Lega, ma sulla lista Zaia che non può essere una lista civica Zaia, un’ulteriore, lo spinacio di Braccio di Ferro che ha permesso di eleggere 23 consiglieri regionali. Il Salvini zen, quello tornato dall’Oriente, propone a Zaia di mettere il suo nome sotto la lista Lega perché come ripete sempre Maurizio Gasparri al Foglio: “Zaia non è forse un dirigente della Lega”? Dice FdI: “Perché la destra deve ufficializzare i suoi candidati prima che lo faccia la sinistra?”. Non arriveranno i nomi, almeno, dicono, non arriveranno senza l’accordo quadro su tutte le regioni e c’è chi dice che verranno messe dentro anche le città e punti di programma, riforme. Adesso, per Meloni, la testa va alle Marche, dove governa il suo Francesco Acquaroli che dice Donzelli “dovrebbe essere portato come esempio. Anziché spendere denaro in comunicazione lo ha impiegato in opere pubbliche”. Più interessante del vertice Magritte, questo non è un vertice, è quanto racconta Anna Finocchiaro, il platino della repubblica e del grande Pci: “Vado a parlare del premierato, una riforma che consegnerà a Meloni il potere straordinario di sciogliere le Camere” e lo dice non per polemica ma come lode e ode al temperamento: “Meloni è una dirigente politica nel senso più alto del termine”. E’ andata “benissimo”. Al prossimo vertice Salvini porta il cocomero.

Carmelo Caruso

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio