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Editoriali

Luca Zingaretti, Urso e il populismo degli anti populisti

Redazione

Denunciare gli abusi dei politici senza i nomi è come usare una scorta in modo improprio. Sarebbe bello se chi fa emergere certi meccanismi lo facesse senza alimentare quelli peggiori

La moglie di Urso ha sbagliato. Ha saltato una fila. Non è la prima, non sarà l’ultima. E non c’è molto da aggiungere sul punto. Detto questo, nella vicenda, emerge un altro problema e lo ha centrato Luigi Marattin in un post più utile di mille editoriali: se vogliamo combattere il populismo, non possiamo usare gli strumenti del populismo per farlo. Il fatto è che Luca Zingaretti, nel suo gesto da cittadino indignato, ha commesso un errore che non è solo retorico ma politico: denunciare il fatto senza fare nomi, alludendo genericamente alla “casta” che salta le file, al potere che si esercita sottobanco, al “voi non sapete chi sono io” elevato a forma di governo. Una mossa che ha il pregio dell’ambiguità: si dice tutto, non si dice niente, si colpisce la politica tutta, si alimenta l’idea che “sono tutti uguali”, si diventa eroi civici su X. Peccato che proprio così si diventa protagonisti di quella giostra populista che ogni giorno si dice di voler fermare. Il paradosso è che la denuncia dell’attore è stata trattata – da gran parte dei quotidiani online – come un grande atto di libertà civile, un gesto esemplare, quasi da Anna Politkovskaja dei gate aeroportuali.

Titoli enfatici, rilanci compulsivi, indignazione in batteria. Ma dov’era l’atto di coraggio? Qual è il valore di una denuncia che resta sospesa, che non chiama nessuno per nome e che serve solo a confermare i sospetti del bar sotto casa? In sintesi: sarebbe bello se chi denuncia certi meccanismi lo facesse senza alimentare quelli peggiori. La politica, come ogni mestiere esposto, ha bisogno di critiche puntuali, non di slogan indistinti. E chi gode legittimamente di un’autorevolezza pubblica dovrebbe usarla per chiarire, non per alimentare sospetti. Ha ragione Marattin: molto meglio quando c’è un nome, un cognome, un fatto preciso. Altrimenti non si combatte l’arroganza del potere: si accarezza l’invidia sociale. E quella sì, è una fila che salta ogni giorno, e davanti a tutti.

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