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L'editoriale del direttore

La deriva orbaniana nell'opposizione. Il voto su Ursula tra spasso e realtà

Claudio Cerasa

In Europa le ipocrisie della politica fanno i conti con la realtà. E anche ieri, nel voto su von der Leyen, alcune verità sono emerse con forza. La destra si vergogna di quello che è. La sinistra di quello che dovrebbe essere

Si scrive Europa, si legge realtà. Ursula von der Leyen, lo sapete, ieri è sopravvissuta a una mozione di sfiducia, relativa al cosiddetto Pfizergate, con cui una parte del Parlamento europeo, quella trainata dall’estrema destra, ha provato a metterla alla porta. Il voto, come capita spesso per le mozioni di sfiducia, anziché disgregare la maggioranza l’ha ricompattata e alla fine dei giochi persino i socialisti europei, che da mesi borbottano contro Ursula, accusandola di aver spostato il baricentro della maggioranza verso destra, hanno abbracciato Ursula. Ma il voto di ieri, von der Leyen a parte, ha avuto il merito di mettere in luce alcune dinamiche interessanti e persino spassose che riguardano non tanto lo stato di salute della Commissione quanto piuttosto quello di alcune coalizioni: in primis quelle italiane.

 

           

 

In Europa, si sa, le ipocrisie della politica fanno i conti con la realtà. E anche ieri, nel voto su Ursula, alcune realtà sono emerse con forza. Sono emerse con forza a destra dove Meloni ancora una volta ha visto allo specchio quello che è diventata e che non ha il coraggio di essere fino in fondo, ovvero un partito ormai più vicino al Ppe che ai conservatori europei. E lo ha visto per molte ragioni. Perché la mozione contro Ursula è arrivata da un parlamentare che fa parte dello stesso gruppo dei Conservatori di cui fa parte Meloni. Perché la mozione contro Ursula è stata votata dai partiti più estremisti d’Europa, non solo i polacchi del PiS e i romeni filoputiniani che si trovano in Ecr, ma anche dalla Lega, alleata con Meloni. E perché di fronte all’evidenza, ovverosia la scelta di campo fatta da Meloni & Co. in Europa di sostenere la maggioranza Ursula, il partito di Meloni, negando quello che è, ha perso un’occasione, e ha scelto di non partecipare al voto, sapendo che se avesse partecipato al voto avrebbe dovuto dare un dispiacere ai propri alleati europei e a quelli italiani certificando ciò che FdI è diventato. Un discorso simmetrico, in fondo, si potrebbe fare anche osservando quanto accaduto nel campo stretto del centrosinistra.

Il Pd ha votato a favore di Ursula, come tutto il gruppo del Pse, ricordando ciò che la sinistra deve essere e che spesso dimentica di essere, ovvero contro gli estremismi di destra e di sinistra. Ma nel farlo ha dovuto prendere atto che a votare come gli estremisti di destra è stato anche il principale alleato del Pd, ovvero il M5s, che ancora una volta, sui temi che contano, ha scelto di votare non solo come la Lega, certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, ma anche come lo stesso partito trasformato dall’opposizione in un benchmark utile a misurare l’estremismo della destra: Viktor Orbán.

A questo, poi, si potrebbe aggiungere, con un filo di malizia, che la sinistra che ha votato a favore di Ursula, quella spagnola e quella italiana, ha detto di averlo fatto sulla base del raggiungimento di un risultato farlocco, ovverosia la non eliminazione del Fse, del Fondo sociale europeo, che però essendo previsto nei Trattati non è eliminabile (quando devi votare qualcosa che non vuoi votare trasforma  in un obiettivo irraggiungibile un obiettivo raggiungibile, e quando poi raggiungi l’obiettivo raggiungibile che avevi presentato come irraggiungibile fallo sembrare un trionfo politico). Ma l’elemento forse più interessante da mettere a fuoco riguarda un’altra realtà difficile da riconoscere e che però è lo specchio perfetto di quella che è l’Italia politica di oggi. Dove gli estremi, quando possono, tornano a parlare la stessa lingua. Dove i partiti con cultura di governo, pur non potendolo ammettere, hanno posizioni simili anche se si trovano, nei propri paesi, all’opposizione e al governo, e il Pd, FI e FdI in Europa stanno dalla stessa parte. E dove al fondo la maggioranza che conta in Europa non si misura solo sul sostegno a Ursula ma si misura su un sostegno più grande: stare o no dalla parte di chi difende i confini della nostra democrazia dalle scorribande di Putin e dei nemici della nostra libertà? Si scrive Europa, si legge realtà.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.