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L'editoriale del direttore
Il gran modello Mattarella e Meloni contro la gnagnera anti Kyiv
Ricostruire è cruciale, ma la premier e il capo dello stato hanno contribuito anche a costruire il consenso nella difesa dell'Ucraina. Con la politica, con i fatti e a volte anche con le parole
Pensare a come ricostruire l’Ucraina è importante, e la Conferenza organizzata a Roma per ragionare non solo a chiacchiere sull’Ucraina del futuro è tutto tranne che un esercizio di retorica. Ma pensare a come continuare a costruire, in Italia, e in Europa, un racconto coraggioso sull’Ucraina, anche arrivando a sfidare le proprie culture di appartenenza, è altrettanto importante. E l’Italia che ospiterà la Conferenza sulla ricostruzione, da questo punto di vista, è un modello che merita anche in Europa di essere messo sotto la lente di ingrandimento, grazie alle due figure istituzionali che, più delle altre, in questi anni si sono spese, in modo diverso ma con obiettivi convergenti, per fare quello che nei propri mondi di appartenenza, in questi anni, si è fatto spesso con timidezza, con imbarazzo, con il freno a mano tirato.
L’Italia, sull’Ucraina, potrà prendere lezioni da molti paesi, sul fronte militare, sul fronte delle regole di ingaggio offerte a Kyiv per utilizzare le nostre armi, ma un tema sul quale l’Italia non ha ancora lezioni da prendere da nessuno riguarda la maestria con cui Giorgia Meloni e Sergio Mattarella, in questi anni, hanno fatto tutto il necessario per tenere alta l’attenzione su un tema che ancora oggi continua a essere per molti un tabù: difendere l’Ucraina non perché lo chiede l’Europa ma perché lo chiede la nostra coscienza. Se la difesa dell’Ucraina oggi in Italia è un atto di patriottismo democratico non lo si deve agli alleati di Giorgia Meloni, Forza Italia a parte, non lo si deve alla Lega, non lo si deve al Pd, non lo si deve al M5s, ma lo si deve in primo luogo a chi in questi mesi ha scelto di ricordare ogni giorno perché difendere l’Ucraina significa difendere anche i confini della nostra democrazia e della nostra idea di libertà. Giorgia Meloni, con coraggio, ha iniziato a fare della difesa dell’Ucraina un elemento cruciale, strategico, della propria identità politica già ai tempi dell’opposizione e ha continuato a farlo anche in questi mesi facendo una scelta di campo chiara tra assecondare le isterie di Donald Trump e seguire la linea dell’Europa: con Zelensky, sempre, senza se e senza ma.
Sergio Mattarella, che ieri al Quirinale ha ricevuto Zelensky, lo ha fatto in modo coerente con la sua storia, certo, ma lo ha fatto sapendo di andare a sfidare un pezzo della sua storia. Meloni ha difeso l’Ucraina in questi anni anche prendendo a ceffoni gli elettori sovranisti che un pezzo della destra ha educato con il mito del putinismo, con il mito dell’Europa matrigna, con il mito dell’occidente provocatore. Mattarella, da parte sua, ha difeso l’Ucraina in questi anni prendendo a sua volta a ceffoni il mondo del cattocomunismo pacifista, con cui teoricamente il presidente dovrebbe essere in sintonia, ma da cui ha sempre saputo distinguersi, per fortuna; mondo che da tempo cerca di dimostrare, in simbiosi con il pacifismo dell’estrema destra, che Putin è stato solo provocato, che il riarmo europeo è più pericoloso di quello russo, che difendere militarmente l’Ucraina è solo un modo per ritardare la pace.
Le storie di Mattarella e Meloni sono diverse, i percorsi sono differenti, le sensibilità sono spesso lontane, ma in questi mesi il presidente della Repubblica e la presidente del Consiglio hanno contribuito alla difesa anche retorica dell’Ucraina in modo sincero. Con la politica, con i fatti e a volte anche con le parole. Ieri, per dire, il capo dello stato, nel suo comunicato stringato del pomeriggio dopo l’incontro con Zelensky, ha ricordato quanto il sostegno all’indipendenza dell’Ucraina sia legato anche alla difesa “dell’integrità territoriale” di una democrazia aggredita. E in questi mesi, poi, Meloni e Mattarella, che non ha avuto imbarazzi a paragonare l’avanzata del putinismo nell’est Europa con l’avanzata del nazismo nel 1938, sono sempre stati attenti ad affiancare accanto alla parola pace l’aggettivo corretto. La pace, dunque, non deve essere “immediata” (linea bandiera bianca). Ma deve essere “duratura” e “giusta”. Pensare a ricostruire l’Ucraina è importante. Pensare a come continuare a costruire un consenso per difendere l’Ucraina anche. Su entrambi i fronti l’Italia può offrire buone lezioni. E per chi in una fase di caos, di disordine, di frustrazione e disorientamento è in cerca di buone notizie forse, grazie a Mattarella e Meloni, ne ha trovate due.