Il colloquio

“Il centro? Quella di Ruffini è una proposta seria. I civici di Onorato? E per far cosa?”. Parla Tabacci

Gianluca De Rosa

"Oggi - dice il sette volte parlamentare ex Dc - non è una questione di geometrie politiche, è necessario far tornare la politica una cosa seria. Ruffini ci sta provando"

“Non c’è dubbio che, senza un centro, il centrosinistra non sia competitivo. Ma non può essere il centro delle furbizie e dei tatticismi elettorali. Oggi all’intera coalizione serve una piattaforma politica chiara, altrimenti si vince per fare cosa?  Deve tornare la politica vera, servono i partiti, non il civismo improvvisato”. Bruno Tabacci, ex democristiano con sette legislature sulle spalle tra Dc, Udc e il suo Centro Democratico, a partire dal 1992  tra i molti tentativi in corso di afferrare l’inafferrabile chimera centrista, guarda con favore solo a uno: quello dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini. “La proposta di Ruffini – dice – mi sembra seria, perché si regge su un’idea e su un’elaborazione politica molto chiara e articolata. A me oggi non interessano le geometrie politiche a fine elettorale, ma lavorare sul serio e con impegno per recuperare una politica di qualità”. Secondo il deputato, la visione dell’ex capo del fisco si ritrova nei suoi lavori più recenti: “Ha scritto un libro di quattrocento pagine sulla Costituzione, con la prefazione del presidente Mattarella; prima ancora, una pubblicazione sull’evasione fiscale, materia che conosce alla perfezione, con la prefazione di Romano Prodi; ora ha pubblicato ‘Più uno’, una sorta di manifesto politico che pone l’obiettivo di calarsi nella società, di andare a cercare chi ha smesso di andare a votare, di ridestare la passione per la politica. Il suo centro non è, com’è accaduto troppo spesso negli ultimi anni, il centro delle furbizie”.

 

Non la convince invece Alessandro Onorato e il suo progetto civico? “Onorato è un giovane promettente. Lo conosco dai tempi dell’Udc. E anche se potrebbe essere mio figlio, sono diciannove anni che è in Consiglio comunale. L’ho anche incontrato dopo il suo evento, ma le confesso che, su quel punto, resto piuttosto perplesso: unire i civici, sì, ma per fare cosa? Qual è il progetto politico? Don Primo Mazzolari, in un celebre comizio a Bozzolo – dove io stesso ho fatto il consigliere comunale – si scagliò con forza contro il civismo, temendo che, senza un’idea politica capace di riunire uomini e donne, avrebbe prevalso il particolarismo, l’interesse di una categoria o di pochi. So bene che il mondo è cambiato, ma senza una visione, continuare a fare politica oggi è inutile. Abbiamo di fronte sfide colossali: serve una classe dirigente all’altezza di affrontarle e una società ridestata in grado di rendersene conto”.


Intanto, ieri, sul grande palcoscenico del centro ha fatto la sua comparsa anche la Rete civica e solidale, il progetto lanciato dal segretario di Demos, Paolo Ciani, insieme all’eurodeputato Marco Tarquinio e alla presidente della Regione Umbria, Stefania Proietti. “Ho visto – osserva Tabacci – ma cosa vogliono fare, esattamente? Io la vedo come Lorenzo Dellai, che quel manifesto ha preferito non firmarlo”. Per Tabacci, infatti, è dalla ricostruzione del centro che deve passare anche il tentativo di restituire alla politica una dimensione più alta, capace di affrontare le sfide che attendono l’Italia e l’Europa. “I partiti oggi sono ridotti a comitati elettorali. Non riescono più a produrre una classe dirigente adeguata. Quando entrai in Parlamento, non c’era un collega dal quale non si potesse imparare qualcosa. Oggi, c’è gente che si trova lì per errore o perché cooptata dai propri capi. Passiamo il 90 per cento del nostro tempo a convertire decreti legge senza possibilità di fare veri interventi. E c’è chi vuole pure introdurre il premierato. Siamo di fronte a un cambio di sistema istituzionale in nuce, ed è preoccupante”.

 

Il centrosinistra, con il suo centro, dovrebbe invece concentrarsi – avverte Tabacci – su una vera sfida epocale: “Garantire il salto quantico europeo auspicato da Mario Draghi. È quella la vera posta in gioco. Al G20 siedono Brasile e Indonesia, che erano una colonia portoghese e una olandese; eppure, oggi, né il Portogallo né l’Olanda hanno un ruolo lì. In cinquant’anni siamo passati da tre a otto miliardi di persone nel mondo, mentre la popolazione europea è rimasta pressoché stabile, tra i 450 e i 475 milioni. Senza uno scatto in senso federale, l’Europa è destinata a non contare più nulla”.

 

“Purtroppo – conclude – la Meloni questo non lo capisce. Si illudeva di fare da ponte tra l’Europa e Trump, che invece l’Europa la vuole smontare. Anche con Macron, invece di fare una polemica quasi personale, avrebbe dovuto alzare il tiro: dire che il seggio della Francia al Consiglio di sicurezza dell’Onu dovrebbe diventare il seggio dell’Europa. Ma lei non vuole andare verso un’Europa federale. Non capisce che un’Europa divisa, oggi, non va da nessuna parte”.