
Il caso
San Ruffini queer: finisce a parlare con Castagnetti, l'ex M5s, Trenta, Damilano che ricorda Michela Murgia. Capogiro
Quattrocento amministratori cattolici si vedono a Roma. Si lavora alla gamba centrista del centrosinistra. E ovviamente c'è anche l'ex direttore dell'Agenzia delle Entrate
Non c’è dubbio: gli occhi soano puntati su di lui. Tutti lo cercano, tutti vogliono una foto: “Ernesto, Ernesto per favore…”. Per non dire dei biglietti da visita: un flusso continuo. Lui sta in piedi alla sinistra del palco della sala dedicata a Vittorio Bachelet. Chiunque passi ha già la mano in tasca per porgerli il pezzetto di carta: “Ecco il mio numero, sentiamoci Ernesto, puoi chiamarmi qui”. L’ex capo dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, si muove con il passo da leader: “Noi in questo paese siamo, consapevolmente o inconsapevolmente, un laboratorio in cui si cerca di sdoganare una destra che non crede nei nostri stessi valori. Allora va bene il ‘noi’, ma va bene mettere anche qualche paletto e qualche linea d'argine per costruire un futuro insieme”, spara a un certo punto per chiarire qual è il campo dove i cattolici che amano la politica devono stare oggi: a sinistra. Non solo. “Non è scritto nel destino o nelle stelle che il centrosinistra vinca le prossime elezioni: serve una politica comune per dare un’alternativa. Non si può andare in ordine sparso. Quello che ci dice Franceschini, amico e persona che stimo, forse è un modo per vincere ma non per governare il paese”, dice entrando a già a gamba tesa nel dibattito strategico del futuro centrosinistra. Quando Francesco Russo, ex deputato e consigliere regionale del Pd in Friuli, dice: “La Rete di Trieste non farà mai nascere l’ennesimo partitino”, inarca il sopracciglio come a dire: “Ah, ma come?”. Siamo a Roma, dentro all’enorme e verdissimo hotel Th Carpegna Palace sulla via Aurelia. Si sono dati appuntamento qui ieri e oggi oltre 400 amministratori locali – sindaci, assessori e consiglieri– cattolici che fanno parte della Rete di Trieste, nata a luglio scorso durante le settimane sociali riunendo cento amministratori che si sono formati nell’associazionismo cattolico. Lo slogan oggi recita: “Persino più di un partito”. Fuori dalla sala si distribuisce l’Avvenire. Tra i presenti ci sono Pierluigi Castagnetti, Bruno Tabacci, vecchie volpi di una Dc che fu.
Ma anche l’ex ministra del M5s Elisabetta Trenta, diventata segretaria di una delle tante nuove Dc che si litigano il simbolo. Castagnetti, state per fare un nuovo partito cattolico? “Sono qua per imparare incuriosito da un’iniziativa che si sta irrobustendo, probabile che camminando camminando troverà la sua strada”. Tabacci, ce lo dica lei? “Sicuramente l’area del centrosinistra va ristrutturata e rafforzata. Va costruita un'alternativa che deve essere percepita come tale dal paese”. Ci pensa Ruffini? “Si è dimesso in dissenso con le scelte del governo sulle tasse e questo è già un segno. Serve competenza”. Trenta è però ancora meno democristiana: “Serve assolutamente un nuovo partito di centro”. Ma a parlare davvero chiaro sono solo coloro che un partito cattolico hanno già provato a fondarlo: Paolo Ciani – che a Roma e nel Lazio ha dato vita a Demos – e Giuseppe Irace, che in Campania ha lanciato il suo “Per le persone e le comunità”. E proprio lui spiega: “E’ chiaro che i partiti che ci sono non rappresentano noi cattolici quindi un nuovo contenitore è necessario”. Una nuova Dc? “Quello sarebbe come dire di voler rifondare il sacro romano impero”, ride. E su Ruffini? “Mi pare che come noi vuole stare nel centrosinistra, ma non abbiamo ancora capito se vuole farlo con chi come noi vuole costruire un nuovo contenitore cattolico o nel Pd, o ancora vuole fare l’intellettuale che dà consigli, dovrà decidersi”. Ciani invece spiega: “Sono stanco di essere considerato di sinistra quando parlo di immigrazione e periferie e di destra quando invece parlo di Gpa e fine vita. Al centrosinistra manca un pezzo”.
Può sembrare un paradosso perché il capo di Demos oggi del Pd è il vicecapogruppo a Montecitorio. Ma poco importa. D’altronde c’è aria di qualcosa alla quale si sta lavorando anche con il consenso del Nazareno. Ulteriore indizio: a moderare sul palco il dialogo con Ruffini, Paola Binetti, Ciani e Giorgio Vittadini, ci pensa l’ex direttore dell’Espresso Marco Damilano, uno che, si dice, Schlein ascolta con attenzione. E’ un segnale che la gamba cattolica del centrosinistra è un qualcosa che non dispiace neppure alla segreteria. Nel suo dotto discorso introduttivo, tra Dossetti e Aldo Moro, a un certo punto Damilano cita una grande “intellettuale cristiana scomparsa l’anno scorso: Michela Murgia”. La scrittrice delle famiglie queer si trasforma all’improvviso, e bisogna dirlo, tra gli applausi, per qualche minuto nella militante dell’Azione cattolica”, nella compianta “intellettuale Cristiana”. Sarà l’icona del nuovo cattocomunismo di Elly e Ernesto? Chissà.