(foto Ansa)

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Con il tramonto del terzo mandato, va in archivio la Lega dei territori. A Salvini restano nomine e fedelissimi

Luca Roberto

La bocciatura di un tris sbarra la strada al pragmatismo di Zaia e Fedriga. "Adesso nel partito viene premiata l'incompetenza. C'è stata una mutazione genetica", dice l'ex direttore della Padania Moncalvo

Per la Pontida di quest’anno scelgono un manifesto che ammicca al primo raduno del 1990. Ma a Roma, dopo essersi fatti bocciare dagli alleati il terzo mandato, archiviano forse per sempre la Lega “dei territori”. L’ultimo tassello di un puzzle che restituisce l’immagine di un partito più interessato a sfoltire pratiche romanocentriche che a rivendicare le storiche battaglie del nord. E quindi se le istanze dei presidenti di regione sprofondano nell’irrilevanza, tanto vale per Salvini spendersi in tutt’altre partite: per esempio piazzare Laura Ravetto all’Arera. O presidiare nomine particolarmente ghiotte: in Rai, nelle Ferrovie. Come sintetizza un conoscitore profondo dell’universo leghista come Gigi Moncalvo, storico direttore della Padania, “da partito del nord oramai la Lega si è trasformato in un centro di collocamento del potere. In cui nessuno, purtroppo, ha davvero il coraggio di sfidare Salvini”.

La proposta di nominare Laura Ravetto ai vertici dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) è solo l’ultimo esemplare di una strategia di cooptazione nelle diverse articolazioni dello stato, da parte della Lega di Salvini. Molto si è parlato, nelle ultime ore, dell’ex deputato leghista Lorenzo Viviani, dirigente ligure del Carroccio, che è riuscito a guadagnarsi la co-conduzione di un programma su Rai 1 ("Linea Blu Discovery"). Nella stessa tv di stato in cui non passa affatto inosservato il lavoro del presidente ad interim Antonio Marano, espressione del Carroccio. Nel frattempo pure direttore commerciale della Fondazione Milano-Cortina che sta dietro alle Olimpiadi del prossimo anno.

 

Ma a Viale Mazzini la Lega ha portato a casa altri successi a livello di promozione e incarichi, in una filiera che discende da Marano in giù: la nomina di Williams Di Liberatore, “pupillo” del presidente, a responsabile del Prime Time in sostituzione di Marcello Ciannamea. E poi ancora il ritorno sulle reti pubbliche di Massimo Giletti con il suo “Lo stato delle cose”. Per non parlare del pallino, vera e propria fissa, di Matteo Salvini: portare in Rai Barbara D’Urso, dopo anni di inattività in seguito alla brusca interruzione dei rapporti con Mediaset, per volontà di Pier Silvio Berlusconi. La televisione non è il solo settore in cui il cerchio salviniano ha provato a far valere la sua veste di partito di governo. Ancora sull’energia significativa fu la nomina di Paolo Arrigoni, già senatore e responsabile Energia della Lega, a capo di Gse (Gestore dei servizi energia). Così come significative sono state le nomine di Giuseppe Inchingolo, guru social della Bestia di Salvini, come nuovo capo della comunicazione di Ferrovie dello stato. O l’ascesa del manager leghista Igor De Biasio, di cui Salvini ha pure celebrato le nozze, alla presidenza di Terna.

 

E quindi in questa abilità a spostare pedine, muovere caselle, incastrare curricula, è come se la Lega fosse stata accompagnata da un cambio antropologico, a partire dalla sua classe dirigente. “Hanno capito che da Roma potevano avere tutto quel potere. E allora addio federalismo! Ma allora Salvini tolga dal simbolo la parola Lega, perché di Lega in quel partito oggi  non è rimasto nulla”, ragiona Giancarlo Pagliarini, leghista di lungo corso ed ex ministro del Bilancio nel primo governo Berlusconi.

 

Il naufragio dell’emendamento che chiedeva un terzo mandato per i presidenti di regione ridimensionerà definitivamente la Lega dei territori, il pragmatismo degli Zaia e dei Fedriga? “Credo che il passaggio dalla Lega di ieri a quella di oggi sia anche una questione sostanziosa di stile”, spiega ancora al Foglio il direttore Moncalvo. “Prima Bossi si presentava in Sardegna con la canotta, dormiva a casa dell’ex ministro Gnutti. A Villa Certosa da Berlusconi ci andava con le camicie con le spalline da ferroviere. Adesso tutti questi vicesegretari e dirigenti vicini a Salvini aspirano al bel vestito, all’abbronzatura. Con la differenza che prima, magari, capitava di premiare, in ambito locale, anche chi vinceva Miss Padania. Adesso invece la regola è che siano incompetenti”.

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  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.