
Il personaggio
Guerini il Cautissimo, infastidito da Bonaccini, incalzato dalla sua corrente Pd, si ripara nel silenzio. E da Schlein
Non parla da giorni, si è rifugiato a Lodi, ma la sua corrente Base riformista è smarrita, guarda a Pina Picierno. Lui inizia a criticare la scelta di far parte della segreteria unitaria
Al lavoro è l’appartato, nella spiritualità è l’eremita e nel Pd è Lorenzo Guerini. Dov’è finito? È il leader dei riformisti ma da giorni non si trova, l’ultima volta che lo hanno visto, il 6 giugno, era a Milano, al Franco Parenti, con Renzi e Calenda, per l’evento due popoli e due stati, Israele e Palestina. Dopo? E’ tornato al suo stato: “Preferisco non parlare”. La sua corrente Base riformista: “E’ a Lodi”. A fare? “Lorenzo pensa e a volte vorrebbe dire cose”. E cosa? “Che Bonaccini dovrebbe forse attaccare … che la segreteria unitaria del Pd è stata un errore, forse”. Se parlasse sarebbe, forse, il naturale leader dell’altro Pd, ma Guerini pensa che è magnifico il titolo di “Cautissimo”.
Non si capisce quando ma avviene. C’è un momento esatto in cui un partito, una corrente, una comunità individua una figura e le riconosce un carisma, una bellezza d’animo e di modi, un’eleganza irripetibile. Inizia così a indicarlo come “il migliore”, “il talento” e riconoscere con altrettanta chiarezza: “Inutile, non farà mai nulla. E’ preso dai suoi pensieri”. E’ il caso di Guerini, il leader della corrente del Pd, Base riformista, la corrente che in Europa, se solo avesse voluto, sul Riarmo, con i suoi voti, avrebbe costretto Schlein alle dimissioni, la corrente che in Assemblea Pd, insieme a Stefano Bonaccini, avrebbe perfino i numeri per dire: “La linea del partito va cambiata”. Solo che dovrebbe dirlo, lui, Guerini, l’ex ministro della Difesa nei governi Conte e Draghi, oggi presidente del Copasir, ex vicesegretario del Pd, che Renzi chiamava “Arnaldo” e intendeva Forlani. E’ famoso per una parola: “Percorso”, solo che il percorso di Guerini si interrompe al bivio “volontà” che è il sentiero della leadership.
In queste ore la corrente sulle chat scrive e si interroga: “Ma cosa dice Lorenzo? Perché non è netto contro Schlein? Perché Lorenzo non interviene?”, “Perché se solo Lorenzo volesse…”. Senza dubbio. Se solo volesse Guerini potrebbe sfidare la segretaria come fa Pina Picierno che comincia a piacere ai sindaci del Pd, da Torino a Reggio Calabria. Se solo Guerini volesse, ma Guerini non vuole. Vuole parlare senza parlare, intervenire sulle grandi questioni internazionali anche se messaggia con il consigliere dell’ultima provincia perché il “territorio viene prima di tutto”. Alla Camera, Giovanni Donzelli, che nei fatti è il segretario di FdI, dice di Guerini: “Uno come Lorenzo potrebbe fare per altri dieci anni il presidente del Copasir. Ha un’ autorevolezza e una lucidità…”. È così lucido da sapere, e da non dire, che nel Pd solo lui, Guerini, maneggia la complessità, i codici della difesa, così come Dario Franceschini maneggia il cuore dello stato, e allora si limita e, a volte, spiega: “Noi riformisti diamo il nostro modesto contributo nel Pd, solitamente quello vincente”, poi, camminando in Transatlantico: “Io ho una grande qualità: non mi sopravvaluto”. Il “sottovalutato”, l’ex sindaco di Lodi, per due mandati, ora è valutato dal Quirinale come il più affidabile del Pd e per il ministro della Difesa, di FdI, Guido Crosetto, è il rivale che sarebbe bello avere compagno. E a Guerini basta, perché anche per lui “tutta l’infelicità del mondo sta nel non sapere stare quieti in una stanza”.
Dicono i riformisti che “a dire il vero, Lorenzo ha firmato la lettera a Repubblica e ha annunciato che votava ‘no’ all’abolizione del Jobs Act e poi, se dobbiamo ancora dirla, ha partecipato all’evento con Calenda e Renzi. Per un cauterrimo come Guerini è tantissimo”. Ha alzato la voce, ultimamente, quando ha sentito che in Toscana stavano per impedire la ricandidatura del buonuomo Eugenio Giani, che nel Pd, qualche buontempone aveva iniziato a chiamare “il nostro Biden”. Dov’è finito, Guerini? Adesso è a Lodi, a passeggio con il suo cane Orfeo, un cane corso, lungo i boschi perché, e così si difende, Guerini non ama il corpo a corpo sui social, perché con Schlein l’opposizione dura non funziona. È dell’idea che fa più male una freccia che va a segno di mille sparate in aria. Ma nel Pd c’è aria di rassegnazione. La notte delle liste elettorali, quando al Nazareno si falciavano vite, storie, Luca Lotti che era l’altro capocorrente di Base riformista, insieme a Guerini, spiegava al telefono, e con affetto, agli amici: “Sto lottando per Lorenzo, per proteggerlo”. E’ finita che nessuno ha protetto Lotti, che oggi ha cambiato vita. Guerini è rimasto e allarga la corrente dei cauti italiani, i pavidi di successo che dicono “non cercarmi, ma ci sono”, i collerici, a scatti, come Giorgetti, che ieri è scattato contro la Ue, sulla difesa, “contro regole stupide e senza senso”. Sono loro, i Gentiloni, Fedriga, Zaia, Giorgetti e se ne possono trovare ovunque, nel giornalismo, nella finanza, nel calcio (Claudio Ranieri che rinuncia alla Nazionale è pavido o è avveduto?). Durare, appartarsi, non rischiare. È la pavidità che fa alzare il rating, la pavidità come Btp, la pavidità che ha preso il posto del coraggio, la cautività di Guerini, il ritirato dal mondo che ripete “io non sono fatto per questo mondo”.