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Il voto amministrativo

Modello Genova? Vince il centrosinistra largo e Schlein ci spera (ma per Orlando non è esportabile)

Due città conquistate (anche Ravenna), ballottaggio a Taranto e Matera. I commenti di Renzi e Calenda

Marianna Rizzini

"Testardamete unitari", ripete la segretaria del Pd. “Non sono il regista dell’operazione Salis”, dice Orlando, “semplicemente ho proposto alle forze della coalizione di mettere in campo una candidatura che desse con più forza il segno della discontinuità e della rottura"

Ricominciare da Genova, dove la candidata di un centrosinistra in formato “campo largo” Silvia Salis, ex martellista olimpica e vicepresidente vicaria del Coni, prevale al primo turno delle amministrative con il 52,3 contro il 43,3 per cento dei voti sul candidato del centrodestra Pietro Piciocchi. Ricominciare da Ravenna, dove Alessandro Barattoni, candidato di un centrosinistra in formato larghissimo (ma sulla scia dell’ex sindaco dem riformista Michele De Pascale, ora presidente della Regione Emilia-Romagna) doppia con un 58,64 per cento i candidati di un centrodestra insolitamente diviso. E ricominciare magari a esercitare una qualche forma di grandeur prospettica, sperando che i referendum dell’8-9 giugno non rovinino la festa, e confidando pure (di nuovo, più di vent’anni dopo) sull’effetto-traino di Nanni Moretti —  che dà la sveglia al centrosinistra sulla manifestazione unitaria per Gaza come un tempo, da Piazza Navona, la dava sui dirigenti con cui non si sarebbe vinto mai. E insomma, il Pd di Elly Schlein sospira di sollievo rispetto all’alleanza a solidità variabile con il M5s – che si è presentato da solo nelle città che andranno al ballottaggio, Taranto e Matera. Ma permane l’alea: funzionerà, più avanti, il campo largo, o si tratta di un miraggio (della serie: vittoria nelle città, ma poi può succedere di tutto)?

Intanto, Elly Schlein si blinda sotto la dicitura “testardamente unitaria”: “La destra esulta per i sondaggi, noi vinciamo le elezioni”, dice, complimentandosi con Salis e Barattoni, neosindaci rispettivamente a 39 e a 43 anni. “Il Pd cresce di 8 punti rispetto alle ultime elezioni ed è primo partito”, insiste la segretaria dem, anche puntando a Taranto, la città dell’ex Ilva dove il candidato di centrosinistra Pietro Bitetti è “nettamente in vantaggio” (con il 33,3 per cento circa, secondo le proiezioni uscite al momento in cui questo giornale è andato in stampa) sui candidati di un centrodestra anche in questo caso non unitissimo (con la Lega più spostata su Francesco Tacente e il resto del centrodestra su Luca Lazzaro), e sulla candidata del M5S Annagrazia Angolano. Non a caso, da giorni, a Taranto il centrodestra discute lungo la linea di confine tracciata dalle parole del ministro delle infrastrutture Matteo Salvini che a Trento, due giorni fa, ha ipotizzato di statalizzarla, l’ex Ilva, suscitando la puntualizzazione del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso che parla invece di privatizzare. Ed è dunque il giorno in cui la segretaria del Pd, intravedendo crepe altrui, ribadisce il concetto: “Essere testardamente unitari non è una tesi o un dibattito patologico, ma un dato oggettivo: uniti si vince”. Lo dice anche l’ex premier e leader di Italia Viva Matteo Renzi, mentre il leader di Azione Carlo Calenda, ex terzopolista con Renzi e poi centrista in solitaria (ma a Genova e Ravenna sostenitore con Pd e Iv di Salis e Barattoni), distingue: “Si vince con i candidati riformisti”. D’altronde il distinguo arriva da Calenda anche sulla piazza per Gaza (come data si pensa al 7 giugno): ci saremo per fermare Netanyahu, ma solo se ci darete garanzie che non ci saranno bandiere pro Hamas e cori anti-ebrei, dice il leader di Azione. Poi c’è l’ex ministro Andrea Orlando, già candidato presidente alle precedenti regionali in Liguria, vinte nell’autunno del 2024 dal centrodestra con l’ex sindaco di Genova e oggi governatore Marco Bucci (che però nel capoluogo, in ottobre, aveva preso il 44 per cento dei consensi contro il 52,3 per cento di Orlando). E Orlando, inneggiando come i compagni dem “all’unità e al cambiamento”, sembra a un certo punto volersi scollare di dosso l’etichetta di deus ex machina della vittoria di Salis. “Non sono il regista dell’operazione”, dice Orlando, “semplicemente ho proposto alle forze della coalizione di mettere in campo una candidatura che desse con più forza il segno della discontinuità e della rottura. Ed è stata punita l’arroganza di una destra che, nonostante una vittoria di misura, ha perseverato in una totale indifferenza nei confronti delle domande che venivano dal territorio”.  Sulla base dei numeri delle regionali, dice l’ex ministro, a Genova il Pd avrebbe vinto. “A Genova non è mancato nulla”, è il concetto. Ma se gli si chiede se il modello Genova possa funzionare altrove, Orlando risponde: “Non credo ci siano prodotti di esportazione, ma punti di riflessione che possono essere esportati”. 


 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.