(foto Ansa)

Il caso

La Striscia di Meloni: il complicato equilibrio fra le critiche Netanyahu e l'asse con Usa e Germania

Redazione

La premier alle prese con la gestione della crisi in Medio Oriente: nessuna fuga in avanti, ma tanti piccoli segnali. Le critiche con le opposizioni e le scelte sui social network

Distanza dal governo di Netanyahu, totale sintonia con la comunità ebraica. Anche se poi a volte le cose sembrano quasi sovrapporsi. Come ieri quando ha rilanciato sui social il post del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani sull’attentato a Washington. “L’antisemitismo figlio dell’odio contro gli ebrei va fermato, gli orrori del passato non possono più tornare”, ha scritto Giorgia Meloni, portata dagli eventi ad assumere una posizione non facile sulla guerra in medio oriente. Con un lento affrancamento da Tel Aviv culminato con la convocazione alla Farnesina (la seconda) dell’ambasciatore Jonathan Peled.  
Meloni si trova dunque alle prese con un equilibrio strategico, in cui riconosce il diritto di Israele a esistere e a difendersi davanti ai terroristi di Hamas senza non poter tacere davanti “all’accesso di foga”, come la chiamano dentro FdI, del governo Netanyahu nella striscia di Gaza. Criticato in Parlamento, in sequenza, dalla premier e dal ministro della Difesa Guido Crosetto. La piccola svolta – sempre in un’ottica di alleanza e di sponda con l’America di Trump – è accompagnata dalle parole, ma anche da piccoli fatti. Due settimane fa alla cerimonia per l’indipendenza di Israele, Yom HaAtzmaut, in un hotel nella zona di Roma nord non è passata inosservata sul palco l’assenza di ministri di Fratelli d’Italia (c’era, al contrario, il capogruppo al Senato Lucio Malan). Un segnale di freddezza? Per molti sì. Così come, oscillando in una posizione mediana non agevole, l’altro giorno a Bruxelles l’Italia è stata uno dei pochi paesi – insieme alla Germania e alla Polonia – contrario alla revisione dell’accordo di associazione fra Unione europea e Israele. “Sarebbe controproducente: se vogliamo aiutare la popolazione palestinese abbiamo bisogno del dialogo”, dice Tajani, finito nel mirino delle opposizioni, a sinistra, per questa dichiarazione: “Le opposizioni sono libere di criticare, ma è più facile mettersi in testa una kefiah e fare qualche manifestazione che poi agire concretamente per portare a casa risultati concreti”. Parole vergognose per Nicola Fratoianni che accusa il governo di attaccare l’opposizione pur di difendere e coprire “il criminale Netanyahu”. Una scena che a parti inverse è accaduta ieri in tv all’”Aria che tira”, su La7, quando si sono incrociati Marco Furfaro del Pd e Francesco Filini di Fratelli d’Italia, che ha accusato di “becera propaganda” i dem rispetto a Gaza. Una complicata triangolazione per chi governa. Tanto che, come per l’Ucraina, Meloni evita di pubblicare sui suoi seguitissimi canali social le prese di posizione sulla guerra in medio oriente. Una scelta editoriale ben precisa, spiegano dallo staff della premier. Che in un certo senso evita di farsi influenzare da dinamiche internazionali che non controlla, convinta che questa posizione – e lo dicono per ciò che contano i sondaggi – alla fine sia premiante. E non la danneggi all’interno del suo elettorato dove al contrario è molto forte il timore del terrorismo islamico. Una distanza con il governo di  Netanyahu c’è ed è palpabile, ma senza fughe in avanti, meglio l’asse con gli Usa (“ho sentito Trump poco fa”, ha detto ieri a margine dell’incontro con Mette Frederiksen, primo ministro di Danimarca)  e con la Germania. 

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