Il racconto

L'accademia dei provinciali di Forza Italia: l'ascesa dei fedelissimi di Tajani, dai territori al partito

Simone Canettieri

Dopo la morte di Berlusconi, il nuovo leader ha cambiato schema: meno movimento d'opinione e più caccia alla preferenza. Battistoni, Nevi, Battilocchio e Barelli sono la "Porchetta magica" nucleo storico intorno al vicepremier. Con tanto di chat di gruppo chiamata "I Meloni"

Sognava la rivoluzione liberale, ha attuato quella del provinciale. La Forza Italia d. C. (dopo Cav.) è il tripudio del territorio, delle preferenze, delle bande musicali da valorizzare (con una proposta di legge da otto milioni di euro) e poi sagre e parrocchie, campetti e oratori. Maradona, d’altronde, non c’è più. Restano i gregari, i Renica, la classe operaia andata quasi in paradiso e diverse stelline qua e là. Finito in gloria il movimento d’opinione del capo carismatico, ora c’è il porta a porta dei tajanei. Molto centro e sud, meno Milano e nord produttivo. Sono i provinciali europei. E’ l’accademia del rustico azzurro, scarpe grosse e cervello fino. La riscossa della contea, gente di poche parole e molta fede: vota Antonio!  


Se Silvio Berlusconi dopo la sconfitta del ’96 imbarcò “i professori” (da Melograni a Pera, da Colletti a Marzano, da Rebuffa a Brunetta, da Mathieu a Vertone e poi ancora i Sirchia e i Tremonti), ora è tutto diverso. Il ciociaro Antonio Tajani da Ferentino – ma proveniente da famiglia di nobile lignaggio – ha distribuito il bastone del comando a un gruppo di collaboratori storici. Sono i figli dell’Italia di mezzo, della campagna. Burini, per i velenosi. Ma qui – a partire da chi scrive – nessuno si offende. Anzi. Laboriosi capomastri, si definiscono loro, quelli della forza tranquilla. Sono tutti cresciuti distanti anni luce dal mondo della finanza, della tv e di Arcore e dei salotti milanesi. Andavano a Roma con la corriera o con il ciuff ciuff: Cassia bis e Flaminia, biglietto obliterato e sole in tasca. Al posto di “tac!”, erre arrotate e “mi consenta”, ora è un profluvio di “annamo, che famo?, “sei gojo?” (traduzione: sei matto?). Look normali, senza eccessi di vanità, senza sartorie napoletane, né guance glabre (le vedesse Lui!). Tajani li ha allevati e pescati nel lago elettorale del Centro (Lazio, Umbria, Marche) dove ha scorrazzato per quasi trent’anni a caccia di voti fondamentali per i palazzi di Bruxelles e Strasburgo. Collezionando così incarichi e medaglie da appuntare al petto baritonale. 

Viterbo, Terni, Tolfa: storie di consolari che portano all’Urbe. E’ la piccola epopea della falange tajanea.


Non è il Giglio e nemmeno la Fiamma, ma la “Porchetta magica”. Dal gusto per la  pietanza – maialino arrosto condito con finocchietto selvatico ficcato dentro una croccante rosetta di pane – che unisce tutti i protagonisti di questa storia che forse piacerebbe a Guido Piovene o a un Piero Chiara in trasferta da Luino a quaggiù. 

 
Non ci sono particolari ristoranti da raccontare dopo le riunioni. Se  non il circolo degli Esteri, cioè casa di Tajani, o le rare apparizioni ai tavoli di Lola sulla via Flaminia. Ma solo questi panini addentati oltre a spartani catering fatti salire nella sede di piazza in Lucina, ora che Palazzo Grazioli è una curva nella memoria nonché sede e coworking della Stampa estera. La combriccola va matta per la porchetta, appunto, ma anche per i salumi. Per non parlare delle mozzarelle. Il vicepremier e ministro degli Esteri ne ha regalate di succose e lacrimose perfino al vicepresidente degli Stati Uniti J. D. Vance quando è venuto a Palazzo Chigi a pranzo. Insomma: altro che cravatte di Marinella, qui si va di zizzona di Fondi, basso Lazio. Snob? No, grazie. Perché, come canta Paolo Conte, “noi di provincia siamo così / le cose che mangiamo / son sostanziose come le cose / che tra di noi diciamo…”.  

 
Francesco Battistoni da Proceno (Alta Tuscia) è il responsabile dell’organizzazione di Forza Italia; Raffaele Nevi da Terni fa il portavoce del partito; Alessandro Battilocchio da Tolfa si occupa dei dossier elettorali; Paolo Barelli dalla capitale, ex olimpionico di nuoto, è il roccioso capogruppo alla Camera, nonché fresco parente del leader da quando due settimane fa il figlio Gianpaolo ha sposato Flaminia Tajani (cerimonia riservata, lontana dal gossip di “chi c’era”). I quattro della zolla condividono da anni una chat su WhatsApp. Dettaglio: il gruppo cambia nome a seconda del governo. Adesso si chiama “I Meloni”, prima “I Draghi”. Qui commentano e scherzano. In poche parole cazzeggiano in uno spirito un po’ alla “Amici miei”. Ma sempre con moderazione, siamo gente di provincia, biografie normali, niente super ego. Non ci sono Celesti né felpate eminenze azzurrine, tantomeno sanguigni Verdini né Paoloromani.

  
“Mi scusi, non posso parlare: sto presiedendo il congresso di Forza Italia a Orte”. A Orte? “Sì, perché?”, risponde al telefono Battistoni, 58 anni, in FI dal ’94, deputato, già senatore. Fu il capogruppo del Pdl nel Lazio che scoperchiò l’allegra contabilità del suo predecessore: Francone Fiorito da Anagni, detto Batman, giovane missino che nel ’93 si ritrovò a tirare le monetine a Craxi davanti all’hotel Raphaël, salvo poi, quasi vent’anni dopo, finire in mezzo al caso dei rimborsi dei consiglieri regionali. Da lì a poco la governatrice Renata Polverini si dimise. Battistoni è stato assistente  di Tajani all’Europarlamento, ma anche sindaco di Proceno, paesino a nord del Lazio, nel Viterbese, non distante dal castello di Luciano  Gaucci a Torre Alfina (ecco perché è stato anche dirigente del Perugia calcio, club provinciale per eccellenza dalle stelle alle stalle). Pizzetto da moschettiere, il riservatissimo Batti ha da sempre una consuetudine con le gerarchie ecclesiastiche. Conosce per motivi territoriali il cardinale Pietro Parolin (già arcivescovo di Acquapendente), vanta uno zio prete, Alfio, storico assistente di monsignor Luigi Boccadoro, presidente delle commissioni episcopali della Cei per il clero e i seminari nonché fautore dell’istituto di Scienze religiose “San Bonaventura da Bagnoregio”, passione di Papa Ratzinger. Lo chiamano il chierichetto,  Battistoni. E come chi è nato fra campanili e piazze del comune conserva una certa attenzione – che eroe – verso i giornali di carta (meglio ancora la stampa locale). Pallino d’altronde di Tajani che nella precedente vita fu cronista del Giornale di Montanelli e capo della redazione romana del quotidiano berlusconiano (con famoso aneddoto del ceffone rimediato in Transatlantico dal deputato del Msi Alfredo Pazzaglia). 


Con i giornalisti parla per lavoro Raffaele Nevi, 52 anni da Terni, titolare di un’azienda agricola con maiali allevati en plein air. Tipo misurato e cortese, tranne quella volta che diede del “paraculetto” a Matteo Salvini con conseguente scandalo del giorno e tempesta di carta per 24 ore. Nevi è il liberale della compagnia. Nipote d’arte, con tanto di tessera del Pli presa a 14 anni. Inizia a far politica quando nella rossa Terni d’acciaio e Che Guevara diventa sindaco l’ex ministro, liberale, Gianfranco Ciaurro sicché debutta come consigliere di circoscrizione. Poi conosce Tajani nella prima campagna elettorale per le europee del ’96 e diventa anche lui un tajaneo doc, tendenza cascate delle Marmore. Elezioni comunali, regionali, coordinatore del partito cittadino e regionale: in Umbria ultimamente non ha avuto grandi successi, visto che ha perso un po’ tutte le principali elezioni (in ternano si dice: portamo a spasso li dolori). Ma il suo Antonio, mormorano nel partito le fisiologiche malelingue, è già pronto a salvarlo, quando sarà, con un seggio blindato in Calabria. La moglie di Nevi è amica della signora Tajani: le due hanno accompagnato i mariti all’ultimo congresso del Ppe a Valencia: paella alla Manfred Weber. Perché questi sobri rapporti provinciali si nutrono anche di famiglie, senza jetset né cene eleganti. “Guardi, le posso dire solo una cosa: siamo fissati con il territorio e con la semplicità delle piccole cose. Basti pensare che io e Antonio abbiamo lo stesso numero di cellulare da oltre 20 anni”, confida Nevi con il fare di chi sta per mollare lo scoop dell’anno. 


Con la perenne cartellina sotto braccio, spunta invece dal portone di Montecitorio Alessandro Battilocchio, detto Bat, altro pupillo storico del segretario di Forza Italia, deputato e presidente, ovviamente, della Commissione parlamentare sulle periferie. Se Battistoni è il cattolico, Nevi il liberale, lui è il socialista di questi cugini di campagna, nonché il più giovane: ha 48 anni ma è in politica da quando a 23, dopo cinque anni da assessore, diventò sindaco di Tolfa (comune di cinquemila anime “inconigliato” sulla roccia). E’ il responsabile elettorale di Forza Italia: si occupa di simboli e liste. Conobbe Tajani a Strasburgo quando venne eletto con il Nuovo Psi di Gianni De Michelis, europarlamentare, a 27 anni. Ha una passione per frati e suore, conventi e chiese: santi voti. Poi c’è Barelli, 70 anni, è il Bud Spencer di questa Forza Italia per via dei trascorsi nel nuoto azzurro che conta. Nell’Italia di mezzo, fede e preferenze, anche lui ha nel palmarès una protettrice davanti a cui inginocchiarsi: è la zia Armida Barelli, dichiarata beata da Papa Francesco nel 2022, cofondatrice dell’università Cattolica ma anche delle missionarie della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo e conseguente istituto per le Opere. Barelli è l’altra ombra del leader azzurro, riuscito finora in una complicata operazione di salvataggio di un partito che dopo Berlusconi sembrava destinato a un rapido declino elettorale. Certo, Tajani dice che punta al 20 per cento, numeri da leccarsi i baffi che per ora restano chimere, ma il sorpasso sulla Lega fa incipriare il naso a tutti. Il partito fondato dal Cav. è cambiato. Il segretario viene riconosciuto anche dai detrattori come “insostituibile”. In diversi si sono rassegnati, anche se c’è chi, a volte, mastica amaro per un’eccessiva morbidezza verso il melonismo soprattutto sulle questioni geopolitiche ed economiche, segmento e posizionamento che ancora interessano alla “Famiglia”. E cioè ai Berlusconi, entità che aleggia, per via del cognome, di una fidejussione elargita per la causa da 90 milioni di euro e soprattutto per le possibili, e finora sempre smentite, discese in campo dei figli del Cav. Piersilvio su tutti, poi Marina. Ma chissà. 

   
Tuttavia il menu ormai offre questo. E allora è facile incrociare Tajani che reduce da un vertice internazionale si precipita alla sagra dell’Uva a Marino (come gli fece notare Matteo Renzi il giorno dell’anniversario del 7 ottobre) o a quella del tartufo (non si possono non citare nella galleria dei provinciali in ascesa i deputati Piero D’Attis da Galatina o Francesco Rubano da Telese). 


Si fa largo dunque una nuova Forza Italia fatta di piccoli potentati locali e un po’ di caos (il perenne “mercurio Sicilia” con il governatore Renato Schifani e il coordinatore Marcello Caruso). “La squadra, conta la squadra”, ripete il segretario che cerca sempre di non litigare con i suoi, anche se dicono sia permaloso. Nessun cerchio magico – quello della Porchetta – né club esclusivi, fa sapere il leader che dopo gli scossoni iniziali vanta una discreta armonia intra moenia, tra delegazione di governo, gruppo parlamentare e assetti azzurri. D’altronde è stato capace di nominare i suoi vice con misurino territoriale, storico e perfino aggiornato alla cronaca (Deborah Bergamini per la Famiglia, Alberto Cirio per il nord, Roberto Occhiuto per il sud e infine Stefano Benigni, tendenza Marta Fascina). Il partito, incarichi alla mano, è un incrocio di storie e sensibilità. Si è smilanesizzato. Questo è indiscutibile (al di là del ritorno a casa, con successo, di Letizia Moratti e di Gabriele Albertini). L’altro capogruppo, in Senato, è Maurizio Gasparri, romanissimo, con rubrica telefonica imponente nella destra  dei Palazzi fino ai balneari di Ostia. Tajani intanto fa il giro del mondo come Jules Verne. Parla di Russia, Israele, export e dazi americani. 


Appena può però taglia nastri per inaugurare sagre e campetti sportivi accompagnato dai suoi ragazzi. Quelli dell’Accademia dei provinciali, sogno rivisto e corretto dell’Università della libertà tanto agognata dal Cav. Sic transit, eccetera eccetera…

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.