Il racconto

Lo spleen di Salvini. Smarrito, silenzioso e angosciato dai seggi e dal voto Veneto. Giorgetti: "È finito tutto"

Carmelo Caruso

Mesto, silenzioso, pensa al voto Veneto di autunno, rilancia la rottamazione delle cartelle, ma i leghisti sono preoccupati dalla legge elettorale. Giorgetti: "La mia generazione ha fallito"

I francesi, si sa, lo chiamano spleen. Matteo Salvini si è immalinconito. Un salviniano: “Andate a guardarlo al Senato, per il Question Time. Ha lo sguardo ferito, gli occhi allagati. Mercoledì  ha dichiarato: ‘Voglio dare tempi assolutamente precisi. Tempi precisi? Non è lui”. Al Senato, lo incontriamo, “segretario, come sta?” e Salvini: “Buon lavoro”.  A Varese, ci segnalano: “Il caso più difficile, lo gestiamo da anni, è quello di Giancarlo Giorgetti”. Cosa dice? “Che la sua generazione ha fallito, che è finito tutto, che non può esserci la Lega di una volta, che si sente fuori posto. Solo che Giorgetti di posto ne trova sempre uno nuovo e noi qui a leggere i romanzi di Piero Chiara”. Il piatto piange. 


 Dicono che accade così all’improvviso, che succede dopo un grande spavento, dopo aver tanto lottato. E’ successo dopo il Congresso della Lega di Firenze, la rielezione di Salvini segretario, dopo aver consegnato la tessera al generale Vannacci. Racconta il salviniano: “Non abbiamo più ricevuto ordini. Fate un giro sui social. Adesso il nostro riferimento è Massimo Cacciari. Ripostiamo le sue interviste, il che non è poi male. E’ vero che abbiamo contestato la messa al bando dei fratelli tedeschi di AFd, ma senza enfasi, senza esagerare. In altri tempi avremmo fatto i gazebo con la sinfonia di Wagner, ma oggi nulla. Dai punkofasci siamo passati alla metafisica”. 

 

Scriveva Baudelaire che “in una grande pianura polverosa, senza strade, senza erba, senza un cardo e un’ortica, incontrai degli uomini che camminavano curvi”. Incontriamo il leghista Stefano Candiani alla Camera e ci dice che ha il cuore ancora commosso: “Venite qua”. Chiama Enzo Amendola e Piero De Luca del Pd e inizia: “Sono andato a Napoli e un tassista mi fa pagare la corsa aeroporto-centro 50 euro. Facciamo conversazione, e mi lascia il numero: ‘Dotto’, dotto’, al ritorno la riporto io’. Lo richiamo, pago la corsa 50 euro, e gli regalo pure una bottiglia di vino. Ma lui, con i morsi della coscienza, mi manda un vocale: “Dottò, al ritorno, la corsa in realtà veniva meno, non c’era traffico. La prossima volta che viene a Napoli ha una corsa gratis. Sapete che c’è? Mi ha commosso”. E pensare che una volta cantavano, sì, cantavano, “scappano anche i cani, arrivano i napoletani…” ma adesso c’è bisogno di piccole carezze. In medicina si chiama angoscia. 

 

Il salviniano che sembra l’uomo del quadro di Degas, al bar, L’absinthe, lo spiega: “Se Meloni dovesse davvero chiedere una modifica della legge elettorale e i collegi uninominali non si dovessero più spartire tra le forze di maggioranza, anche Giorgetti rischierebbe di non essere rieletto, lui che, non è un  caso, era stato candidato a Sondrio per cercare di salvare più leghisti possibili in Lombardia”. 

 

Da Varese, direttamente dal Sacro Monte, ci confermano che ogni fine settimana, il Giorgetti, nei momenti di abbandono, dice che questo “è il tempo dei Vannacci” e che ormai lui si è rassegnato, che “la sua generazione leghista ha perso”, come cantava Gaber, e che ormai passa le sue giornate a tenere i conti in ordine, a rispondere all’Europa, l’Europa che lunedì tornerà a chiedergli di Mes e della mancata ratifica italiana. 

 

Gira sui social un video di una straziante malinconia ed è quello di Max Romeo, alla festa di Zanica, in provincia di Bergamo, dove si sente Romeo dire: “Abbiamo vissuto una fase incredibile, passava Salvini e ci pensava solo lui, pensavamo bastasse solo la figura del leader, certo che è importante, ma tutti i leader hanno momenti di flessione, momenti dove ritornano”. 

 

Scriveva Kant che il nostalgico desidera sempre ritornare ai luoghi del passato solo che il passato della Lega non può tornare e bisogna guardare avanti. E’ arrivato ieri il parere del Consiglio di Stato, su richiesta di Luca Zaia, e ha stabilito che le elezioni regionali si devono tenere in autunno, solo che il tavolo dei leader (Meloni-Salvini-Tajani-Lupi) non è stato convocato. Il vicesegretario della Lega, Alberto Stefani, che dovrebbe essere il candidato dopo Zaia, dice che al momento è “tutto fermo”, ma a Venezia avvertono che “tra gli assessori di Zaia è cominciata una specie di analisi di questi anni. Zaia è stato grandissimo, ma noi dobbiamo superare il complesso di Zaia, che è come quello di Edipo”. Ogni battaglia sembra persa. 

 

Il deputato Domenico Furgiuele, il Salvatore Ferragamo della Lega, dice che a Cosenza cerca di spiegare al suo barista che bisogna andare a votare: “Ogni fine settimana ci provo”. Ma le vostre battaglie? “Siamo tornati a chiedere la rottamazione delle cartelle”. Si dice che il malinconico vede tutto nero e quello di Vannacci sembra l’unico orizzonte. Resta la generazione dei quarantenni leghisti, Rixi, Molinari, Romeo, Guidesi, visi affaticati e seri, come quelli di Baudelaire di “A ciascuno la sua chimera”. A uno di loro il poeta chiese dove andavano e l’ altro rispose “che non ne sapeva niente, né lui, né gli altri, ma che evidentemente andavano da qualche parte, perché spinti da un invincibile bisogno di camminare”.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio