Il caso

La Camera dei deputati ora vuole un parrucchiere solo per le donne: proposta di FdI

Simone Canettieri

La barberia di Montecitorio, luogo storico della Prima Repubblica poi nel mirino della ferocia anticasta grillina, è pronto ad affiancare gli ultimi due addetti a un professionista di acconciature femminili. "Ma senza costi in più per la Camera", dice il presidente Fontana

Onorevole deputata, facciamo taglio, messa in piega e colore? La domanda sta per diventare realtà. Il collegio dei questori della Camera vuole dare un taglio a una consuetudine della Prima e della Seconda Repubblica: il mitologico “servizio barberia” di Montecitorio – scrigno in stile liberty tra specchi e poltrone – vuole aprire alle donne. Con un professionista – ogni riccio un capriccio – che si occupi di loro. Solo di loro. Magari nello stesso spirito di Coco Chanel per cui “una donna che si taglia i capelli è una donna che sta per cambiar vita”. O, in questo caso, partito. La domanda c’è e lo spirito dei tempi pure: la legislatura della prima “lei” presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, conta tra le altre cose 133 deputate su 400. E’ un piccolo passo verso la “Camera delle donne”, come la Città felliniana del film, quella che d’altronde dal 2022 permette loro durante le sedute in Aula di entrare con i bimbi e allattarli nell’emiciclo fino al compimento di un anno, un’ulteriore apertura dopo la creazione di una stanza ad hoc per accudire i bebè non distante dal Transatlantico (e c’è sempre l’idea di un nido). 

 

La pensata dei questori – che il Foglio è in grado di raccontare – è stata esposta al presidente Lorenzo Fontana che ha detto sì purché non aumentino i costi. C’è da trovare uno specialista di chiome femminili per affiancare gli ultimi due barbieri rimasti dopo la furia anticasta grillina che li ha decimati. E dunque vedere se l’idea, in termini di incassi, può funzionare. Se magari Elly Schlein o perfino l’onorevole Meloni (che una volta usufruì di un rapido servizio piega, stessa cosa Daniela Santanchè) si metteranno sedute su quelle poltrone così ricche di storia e aneddoti giornalistici. Qui dentro possono entrare, d’altronde, solo i parlamentari (ex compresi, tipo gli ex presidenti Luciano Violante e Gianfranco Fini, clienti fissi), gli assistenti e i cronisti iscritti all’Associazione stampa parlamentare. L’esperimento dividerebbe gli incassi femminili da quelli maschili: perché i due Figaro sono dipendenti della Camera, entrati con un concorso e quanto guadagnano va dritto nelle casse di Montecitorio. Al contrario il coiffeur delle “onorevoli bellachioma” prenderebbe, a suo rischio e pericolo, l’intero incasso, ma senza stipendio fisso. Se il progetto – zac zac – dovesse funzionare allora l’amministrazione sarebbe pronta a procedere con un concorso. Quanta storia fra quelle colonie. Un giorno di febbraio del 1972, quando era atteso il varo del governo Andreotti, Carlo Donat Cattin invece di andare al Quirinale per giurare nelle mani di Giovanni Leone come ministro del Lavoro, andò alla barberia a farsi sistemare i capelli. Non fu un capriccio ma una mossa politica di dissenso verso la nascente coalizione che vedeva la Dc alleata con i liberali di Malagodi. Fino al 1991 – negli annali si ricorda la “lozione del presidente Ciano: dolciastra, oleosa e penetrante” –  il servizio fu gratuito. Arnaldo Forlani, Giulio Andreotti hanno battezzato i loro governi (e le rispettive crisi) proprio qui. Achille Occhetto lo fece cadere appena terminata la cura del baffo: “L’esecutivo De Mita è già finito”, rispose ai cronisti.

Uno spazio notevole, questo, che sotto la presidenza di Laura Boldrini con il grillismo montante diventò il feticcio della casta: da abbattere. Il servizio, dissero i pentastellati con la bavetta alla bocca salvo poi usufruirne, costa troppo. E giù di leggi suntuarie e servizi delle tv contro la barba a 8 euro e 18 per un taglio. Grande dibattito nel paese reale e sul blog di Beppe Grillo, tanto che alla fine il servizio rischiò perfino di chiudere.  Gli addetti con il tempo sono stati falcidiati, “costretti oggi a turni impossibili” e a un boccone nel retrobottega all’ora di pranzo per evitare di perdere i clienti. Eccoli con le loro giacche turchesi e il nodo ben fatto sopra la camicia e la dovizia di chiacchiere e pettegolezzi che, dalla Roma di Orazio a oggi, passano “solo dalle bocche dei miopi e dalle forbici magiche dei barbieri”. I loro tre colleghi non sono stati licenziati, ma trasformati, a parità di stipendio che non è quello di muratore, ad assistente parlamentare (quindi risparmio per la Camera: zero). Tecnicamente gli ultimi due simpatici Figaro non possono tagliare i capelli alle donne, ma spingersi al massimo fino a una bella messa in piega. Adesso, pare, si cambierà: la Camera vuole stare al passo coi tempi e le esigenze di tutti gli abitanti di questa bolla chiamata Parlamento. “Ma fino a quando ci sarò io gli animali non entreranno mai qui dentro”, ha detto Fontana a proposito del progetto portato avanti in Senato dall’omologo Ignazio La Russa. Altrimenti, magari, servirebbe anche una toletta per cani.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.