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L'editoriale dell'elefantino
Guerre sul campo, battaglie politiche. La nuova arte del wait and see
L’espressione che in inglese indica la riluttanza a giudicare con precipitazione, e invita a posporre ogni affermazione positiva sui fatti, è oggi di rigore. Una pratica da riscoprire, in un mondo che barcolla
Cautela. Attesa. Rinvio. Wait and see. L’espressione che in inglese indica la riluttanza a giudicare con precipitazione, e anzi invita a posporre ogni affermazione positiva sui fatti, è oggi di rigore. Non se ne può fare a meno. La volatilità di quel che accade suggerisce di astenersi dalla fretta, anzi impone di mettersi in osservazione. Gli esempi abbondano. Pensavate che Merz sarebbe diventato capo della Germania alla prima botta, come è sempre successo con i cancellieri scelti dopo meticolose trattative in un contesto di disciplinamento e inquadramento parlamentare? Pensavate che stava per arrivare l’uomo forte d’Europa, con le sue decisioni anticipate di spesa e di irrobustimento della Difesa sul fronte più esposto con la Russia di Putin? Wait and see. Pensavate che con l’avventura ucraina l’esercito russo avesse esaurito la sua capacità espansiva, pagando oltre tutto gravi costi? Ecco un build up russo alle frontiere baltiche, ecco l’allarme della Difesa nazionale britannica che deve modificare la sua strategia fino alla costruzione di un sistema di difesa antiaerea come quello israeliano, ecco la Nato che deve cercare di riorganizzarsi in Estonia, in Lettonia, in Lituania, tenendo a bada un possibile nuovo fronte a partire dalla Bielorussia. Wait and see.
L’Iran è in ginocchio? Forse, ma l’aeroporto Ben Gurion è esposto agli attacchi missilistici del suo alleato houthi. Wait and see. In ventiquattr’ore la pace trumpiana non c’è stata, al contrario, la tensione monta anche in vista della grande parata del 9 maggio con Xi e gli altri, ma sottopelle si dice che Putin stia trattando con Trump alacremente, e che in realtà lo sfoggio di potenza e vittoria sia il quadro illusionistico di un accordo di cessate il fuoco che potrebbe diventare realistico a breve con un incontro al vertice. Wait and see. Israele ha deciso per l’occupazione di Gaza a tempo indeterminato, così sembra, ma le operazioni sono rinviate e i contorni di un disegno di sradicamento della popolazione sono indefiniti, e si spera che al fondo resti la questione degli ostaggi da riottenere indietro, vivi e morti, ostaggi che sono stati presi e incatenati da Hamas, non dal governo israeliano, andrebbe ricordato. Nel frattempo, wait and see. La guerra commerciale oscilla tra nuove minacce e vecchi espedienti di negoziato, anche i mercati non ci capiscono più niente, vanno su e giù secondo gli azzardi delle 24 ore. Wait and see. Indiani e pachistani sono potenze atomiche potenzialmente in guerra di confine, non si vede lo sbocco della controversia inquinata dal fattore del fanatismo religioso e territoriale frammisti. Wait and see.
Insomma, il quadro generale barcolla tra nuova guerra, possibilità di pace, impazzimenti diplomatici, esibizioni di forza, delineazione di nuove linee rosse, allarmi, l’opera di decifrazione della politica assomiglia alla scienza conclavaria intenta a capire chi sarà il prossimo vescovo di Roma. Non si sa nulla, wait and see. Siamo sospesi in ogni campo, su ogni fronte tra fumata bianca e fumata nera. La moltiplicazione dei rischi rende nebbioso tutto il panorama delle relazioni internazionali e dei rapporti di potere e di forza. Ne derivano un senso di impotenza e una notevole dose di angoscia. Si vorrebbe capire, soppesare, prevedere, giudicare, stabilire una misura per le cose. Invece è wait and see.