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le religioni

Extra omnes e inshallah. L'asilo che prega in moschea fa ridere

Maurizio Crippa

La scuola cattolica che porta i bimbi in moschea non è segno d’invasione islamica, ma di confusione educativa: tra convivenza culturale e adesione religiosa c’è una differenza che nemmeno le maestre col velo sembrano cogliere

Ma no che non sono “immagini che fanno gelare i sangue nelle vene”, a meno che nelle vene del capogruppo della Lega in Consiglio regionale del Veneto, Alberto Villanova, scorra la marmellata. Ma no che nessuno “vorrebbe che ci vergognassimo della nostra identità”, quantunque sia quella del senatore di FdI Luca De Carlo. Ma no che non servono gli ispettori subito allertati dal ministro Valditara (pulsione assai diffusa in codesto governo, quella degli ispettori) per verificare “se siano state rispettate le norme sulla parità scolastica e il progetto educativo”. E no, non c’è nemmeno da difendere il sacro suolo da gente che vuole il Partito del burka come a Pordenone, dove hanno nominato addirittura una consigliera delegata “alla sicurezza, legalità, lotta al degrado e lotta alla radicalizzazione islamica”. Ma no. Il caso dell’asilo parrocchiale (materna parificata, in burocratese) Santa Maria delle Vittorie di Ponte della Priula, frazione di Susegana, Treviso, non ha niente a che fare con l’invasione dei saraceni. Ma allo stesso tempo fa molto ridere, ridere per non piangere. Per la strabiliante inutilità, verrebbe da dire stupidità ma absit iniuria verbis, è solo un giudizio di valore. E fa nulla se “le famiglie erano d’accordo”: la consapevolezza educativa delle famiglie, checché tradizionali, è fortemente sopravvalutata e sarebbe ora di ammetterlo. Ma anche più strabiliante è la verbosa difesa messa giù e diffusa dai vertici dell’istituto.


I fatti, in breve. Il 30 aprile la scuola materna, di ispirazione cattolica, voleva far conoscere ai bambini il luogo in cui i loro compagni, quasi un quarto – la scuola è multietnica – pregano ogni venerdì. Li ha accolti l’imam: “Noi preghiamo così, inginocchiati a terra”. A quel punto, da foto diffusa dalla stessa scuola, i bambini si sono inginocchiati in direzione La Mecca. “Un gesto spontaneo”, secondo la la direttrice dell’istituto, “per far vedere che avevano capito”. Anzi, secondo il post su Facebook della scuola: “Esperienza emozionante, ci siamo tolti le scarpe, le maestre hanno indossato un velo (wow!, ndr). L’imam ci ha spiegato che la religione musulmana si fonda su cinque pilastri e ci ha detto che loro pregano cinque volte al giorno (ci abbiamo anche provato)”. Avvenire, organo zuppiano forse ancora per pochi giorni, ha difeso dopo la caciara delle polemiche: “Sorpresa e amarezza”. Ma a volte il tacòn multireligioso è peggio del buso. Scrivono gli educatori: “Mettere al centro i nostri bambini e il loro bisogno di essere accompagnati nella crescita ci ha fatto scegliere di andare a visitare il Centro culturale Emanet… La scelta rientra nel progetto educativo della scuola – che riprende le linee nazionali – e che tiene in considerazione la presenza di tante culture e nazionalità tra i bambini della scuola stessa”. Bene, ma non si capisce perché, per tenere in considerazione la presenza di tante culture e nazionalità, si debba anche  proporre l’assaggio della loro religione: tra multietnico e multireligioso c’è una differenza che, almeno negli asili cattolici, dovrebbero conoscere.

Scrivono: “I nostri bambini, cristiani e di altre religioni, frequentano consapevolmente una scuola cattolica, ricca di segni e azioni tipicamente cristiane. Il più semplice e quotidiano è il segno della croce per i pasti (lo fanno i cristiani, gli altri lo vedono fare), la proposta di una messa della parrocchia per l’Avvento, la celebrazione a inizio Quaresima e così via”. Per una scuola di ispirazione cattolica dovrebbe essere il minimo sindacale – ma, va riconosciuto, di questi tempi non capita sempre. Quindi bravi. Ma “se già è abbastanza chiaro che cosa è essere cristiano perché lo si vede tutti i giorni nella scuola”, allora fateli crescere cristiani, e al resto ci penserà la Provvidenza. “Crediamo nell’esperienza proposta che fa crescere ulteriormente l’apertura verso la molteplicità culturale, il rispetto, l’accoglienza, pane quotidiano del vivere assieme nella nostra scuola”. Peccato che l’oggetto fosse invece la molteplicità religiosa, e su questo che la confusione è abbastanza desolante. Ma non c’è da preoccuparsi, le berrette rosse che stanno per entrare in conclave spesso ne sanno anche di meno. Extra omnes e Inshallah.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"