Il racconto

Meloni non "passa" da Milano. La trincea di Mediobanca, l'egemonia di La Russa, visite saltate. La città senza fiamma

Carmelo Caruso

L'ultimo viaggio della premier risale a un anno fa. E i grandi vecchi, Bazoli-Guzzetti, resistono al potere romano. Il ruolo preponderante della coppia La Russa-Santanchè. L'ex sindaco Albertini: "I salotti di Milano snobbano la destra"

Meloni ama Milano? La piazzetta Cuccia di FdI resta ancora  casa Ignazio La Russa, la Madunina è Daniela Santanchè, il coordinatore regionale del partito è un deputato, Carlo Maccari, ma Maccari, chi? Meloni si è fermata a Roma. Dice l’ex sindaco Gabriele Albertini, commentando l’offerta di pubblico scambio, lanciata da Mediobanca su Generali, che è vero, “c’è uno scontro finanziario Milano-Roma e il mondo si è allargato. Meloni è romana, popolana, c’è una Milano snob che non invita la destra”. Milano soffre. L’immobiliarista Manfredi Catella, che ha costruito il Bosco Verticale, si trasferisce, e investe, nella Capitale, il decreto “Salva Milano” è naufragato e Milano prova a salvarsi da sola. Gli austriaci di Radetzky oggi sono sotto Pavia. 


Milano soffre. In due anni e mezzo le visite istituzionali di Meloni in città sono state sei. E’ saltata quella al Salone del mobile, ed è saltata l’altra, ad Assolombarda. L’ultima, la vera, sempre al Salone del mobile, è del 18 aprile 2023. Raccontano i giornalisti economici, che “Meloni paga il dazio della destra. L’austriaco che non le permette di afferrare, capire Milano, il suo Radetzky è La Russa”. La Lombardia è la zona franca del presidente del Senato e della ministra del Turismo, Santanchè, che, dice la premier in privato, “non lascerà mai la carica da ministra”. I milionari stanno lasciando Milano. E’ crollato il mercato immobiliare (meno 8,8% di rogiti rispetto al 2023) e i capitali che rientrano, grazie alla flat tax di Renzi, confermata da Meloni, dopo la fine delle agevolazioni in Portogallo, acquistano e investono adesso nella Capitale. Spiega Albertini, l’ex sindaco, che “Milano vale il dieci per cento del pil e la Lombardia ben il venticinque per cento ma a volte il problema di Milano è che Milano vede solo se stessa”. 

 

Alberto Nagel, l’ad di Mediobanca, da vent’anni alla guida, perché nella finanza non vale la regola del terzo mandato, come per Zaia e De Luca, ma solo la legge “quanta fame hai ancora?”, propone lo scambio della partecipazione di Mediobanca in Generali che significa, dicono gli amici di Nagel, “avere Nagel alla guida di Mediobanca per almeno altri tre anni, ma non avere più Mediobanca. Chi esclude che arrivi un fondo e la compri successivamente?”. L’ops di Mediobanca su Generali è una proposta che è circolata già in passato, dicono un’idea di Giorgio Girelli, ex ad di Banca Generali, ma accantonata e ripresa ora che c’è “l’urgenza” di proteggersi, di impedire “l’assalto”. Ieri, quando la notizia è stata comunicata, insieme alla dichiarazione di Nagel (“non è un’azione di difesa” nei confronti di Mps; la banca senese che sta provando a scalare Mediobanca)  al governo avrebbero risposto che “Nagel non è Orcel, l’ad di Unicredit, e dunque sarà il mercato a decidere”, ma l’effetto sui mercati è stato che “Milano si protegge da Roma” che “Milano risponde all’aggressione romana”. L’offerta di Nagel viene salutata a Milano come un’operazione “tutta italiana” e “abile” ma cosa resta dell’altra, anche questa italiana, quella di Mps, sostenuta dal governo, “romano”, dal ministro Giorgetti, che ora sembra destinata a fallire? 

 

Marco Osnato di FdI, lombardo, presidente della commissione Finanze, un bel pezzo di classe dirigente lombarda, di destra, nota che “a differenza di altri paesi, in Italia il mercato è vivo. Mps prova a scalare Mediobanca e Mediobanca lancia la sua offerta a Generali, da noi la concorrenza esiste”. Ma esiste anche Milano, i martinitt, gli orfani che si sono fatti da soli, come Leonardo Del Vecchio, che fondò Luxottica, gruppo che oggi, nella partita Generali, è alleato dell’immobiliarista romano Caltagirone. 

 

Esiste il “salotto di Milano”, solo che Meloni non ama i salotti e il suo Fazzolari ancora meno e, gli unici, mai al di sopra di Via del Tritone, a Roma,  L’imprenditore milanese più vicino al governo, il solo che finora si è esposto, con lodi, è Marco Tronchetti Provera, di Pirelli, che il governo, tramite il golden power, ha tutelato dall’assalto cinese. Milano soffre. Il quotidiano a cui Meloni ha rilasciato il suo ricordo, il più sentito, sulla morte di Papa Francesco, è stato il quotidiano, romano “Il Messaggero”. Marina e Pier Silvio Berlusconi ripetono sempre che c’è troppo “romanocentrismo” al governo  e due altri  grandi vecchi la pensano come loro. Uno, Giovanni Bazoli, che è presidente emerito di Intesa-Sanpaolo, suocero del sindaco di Milano Sala, ha provato, ed è riuscito, a impedire la nomina, di governo, dell’ex ad Rai, Carlo Fuortes, come sovrintendente della Scala. L’altro, Giuseppe Guzzetti, ex presidente della Regione Lombardia, sinistra Dc, un’esistenza spesa in Cariplo, a 90, anni, ha ancora idee e non sono le stesse idee di Meloni e Giorgetti. Milano soffre. 

 

L’ultimo viaggio di Meloni in città è del 19 giugno 2024, per i “50 anni del Giornale”, il precedente, risale al 14 maggio del 2024, per la festa del quotidiano La Verità e quando i giornalisti le hanno chiesto, prendendo a prestito le parole del sindaco Sala, perché si facesse vedere così poco a Milano, Meloni ha risposto: “Faccio quello che posso”. E però  è Milano che ha “scoperto” Meloni. Era il settembre del 2021, ed è stato a Milano che Meloni si è davvero rivelata, anticipato, il suo assalto al cielo, riempito piazza Duomo, scavalcato la Lega in casa, tanto che nessuno si accorse di quel candidato sindaco, scelto da FdI, Luca Bernardo, che Vittorio Feltri, anche lui sul palco, con Meloni, canzonava, chiamandolo “il sindaco pistola”. Dice sempre Albertini che “c’è una Milano che non invita a cena il ministro Lollobrigida o Giovanni Donzelli, ma dovrebbe, ed è un paradosso dato che oggi Milano si può salvare solo grazie a Roma, grazie alla destra, al governo. La città si è paralizzata da quando è stato cestinato dal sindaco Sala, in maniera esecrabile, il Salva Milano. L’unico consiglio che darei a Meloni è guardare  alla  destra finanziaria, quella che sta già facendo  la sua fortuna. Penso all’ad di Enel, Flavio Cattaneo. Per i milanesi conta la politica estera ed economica e finora Meloni si è mostrata efficace”. Viene già dato per certo che il prossimo governatore, dopo il leghista Attilio Fontana, debba essere di FdI, e si dice che il candidato possa essere Carlo Fidanza, ma Fidanza sarebbe in continuità con La Russa. L’altra corrente di FdI, fa capo a Santanchè e alla famiglia Mantovani, il padre Mario (europarlamentare ma anche sindaco di Arconate) e Lucrezia, la figlia (deputata). Milano soffre. La candidatura di Maurizio Lupi a sindaco è stata condita (e scondita) in una cena a casa La Russa, mentre a sinistra, dopo Sala, si invoca candidato Ferruccio De Bortoli. Milano ha bisogno di Meloni per ripartire ma Meloni non rinuncia a La Russa. Entrambi, Meloni e Milano, soffrono, e si guardano da lontano, dalla trincea: finanza, decreti, la vecchia fiamma che non si spegne. Il Radetzky di Meloni è nato a Paternò.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio