Quando leggo di pulizia etnica di Israele metto mano a Primo Levi

Lucetta Scaraffia

“La condizione dell’offeso non esclude la colpa, ma non conosco tribunale umano a cui delegarne la misura”. Il disagio davanti a un appello

Trump vuole espellere i palestinesi da Gaza. Intanto in Cisgiordania prosegue la violenza del governo e dei coloni israeliani. Ebree e ebrei italiani dicono NO alla pulizia etnica. L’Italia non sia complice.

  

È questo il testo breve e forte dell’appello redatto nei giorni scorsi su iniziativa di un cospicuo numero di nostri concittadini ebrei ma firmato non solo da essi, e che, davanti alle polemiche sorte successivamente, è stato definito dagli autori come finalizzato ad aprire “uno spazio di confronto e di dibattito”. Mi sento autorizzata quindi, pur non ebrea (ma lo è forse Saviano che è tra i firmatari?) a dire la mia. Innanzi tutto per chiedermi: come mai io che non sono certo simpatizzante con i coloni che occupano la Cisgiordania né mi sono mai sentita propensa a giustificare la violenze e tanto meno alcuna guerra, neppure quella condotta da Israele a  Gaza, mi sono sentita così a disagio quando ho letto quel testo?

  
Perché immediatamente mi sono tornate alla mente le bellissime parole di Primo Levi, nei Sommersi e i salvati, che suonano particolarmente attuali dopo la strage del 7 ottobre: “La condizione dell’offeso non esclude la colpa, e spesso questa è obiettivamente grave, ma non conosco tribunale umano a cui delegarne la misura”. Qui Primo Levi parla della vita nel cuore del male, cioè nei campi di sterminio, e del ruolo ambiguo che furono indotti a svolgervi alcuni ebrei prigionieri che si prestarono in qualche modo a essere gli aguzzini dei loro stesso correligionari. Ma trovarsi così da vicino alle prese con il male che preme da ogni parte con la sua potenza diabolica, ci dice Levi,  è una condizione che sottrae il diritto di giudicare a qualsiasi tribunale umano. 
 

Ma evidentemente i firmatari dell’appello di cui sopra si considerano invece, loro sì, capaci di rappresentare quel tribunale umano che il grande scrittore giudicava impossibile. La scelta delle parole – per di più in un proclama così breve – è decisiva, e qui la parola scelta è “pulizia etnica”, un termine che allude pesantemente a un atteggiamento colonialista e razzista attribuito  direttamente a Israele,  e che non può che riflettersi sul complesso della sua vicenda storica. Scegliendo queste parole  i firmatari, erettisi in tribunale, ratificano le certezze urlate da tutti i nemici di Israele, da tutti i pro-Pal del mondo, e cioè che lo stato ebraico  – anche se qui non lo si dice esplicitamente – è di fatto un paese coloniale dove perciò, bisogna presumere,  i palestinesi sono sottoposti a violenze ed emarginati. E che quindi hanno ragione tutti i suoi nemici a combatterlo con ogni mezzo. Non a caso il termine colonialista – non guasta ricordarlo – è stato utilizzato perfino per giustificare la strage del 7 ottobre.
   

In verità, per quello che conta la mia esperienza personale, quando sono stata in Israele ho incontrato negli ospedali israeliani medici palestinesi, anche primari, docenti universitari palestinesi, e non mi sembravano particolarmente emarginati né infelici. Senza voler contare la comunità lgbq+ araba che ha trovato asilo e protezione solo in Israele. 
         

La verità è che gli israeliani non sono colonialisti e razzisti, ma stanno combattendo contro un nemico crudele fino all’inverosimile come ha provato, ancora una volta, l’autopsia sui piccoli Bibas, uccisi a mani nude dai loro carcerieri. Si è mai vista poi, mi chiedo,  una “guerra coloniale” con gli oppressi in grado di disporre di decine di migliaia di missili  da rovesciare quotidianamente  per anni sugli oppressori,   con gli oppressi quotidianamente riforniti di tutto da una schiera di organizzazioni internazionali e per giunta con il consenso dei loro stessi oppressori, e infine beneficati da  una  pioggia di finanziamenti miliardari ad opera di alcuni tra i paesi più ricchi della terra?

  
Può levare disinvoltamente l’accusa di “Pulizia etnica” solo chi nutre l’idea che gli ebrei, a differenza di tutti gli altri popoli del mondo, dovrebbero essere sempre buoni anche nel corso di una guerra che ne determina la sopravvivenza. Chi, al contrario di Primo Levi, pensa che  anche ad Auschwitz bisognasse rinunciare a salvare la pelle pur di conservare un certo standard morale… Non basta agli esimi firmatari dell’appello  che Israele sia una democrazia, e che in Israele non ci sia solo un presidente eletto che molti odiano, ma  pure un forte dibattito interno, che i i soldati colpevoli di violenze sui detenuti palestinesi siano processati e puniti, che i prigionieri palestinesi ricevano continue visite di controllo della Croce Rossa, e che se malati vengano curati bene.  No, tutto questo, che è moltissimo e si può dire di pochi paesi al mondo, a loro non basta. Non basta a impedirgli di sospettare che gli israeliani siano cattivi, che in realtà vogliano la guerra e la vendetta, ed è  per questo che sottopongono a violenza i loro nemici palestinesi i quali, invece,  di per sé sarebbero dei leali combattenti della causa della libertà.

  

Ma perché mai gli ebrei israeliani, a differenza di tutti i popoli del mondo, dovrebbero sempre dare la prova di essere buoni? Perché mai non possono essere come tutti gli altri? Perché dovrebbero dare prova invece di essere migliori degli altri? Non si tratterà, mi domando, di una sorta  di razzismo al contrario?
       

Proprio per questo l’appello è non solo ingiusto, ma anche pericoloso. L’errore infatti corre sempre più veloce della verità e con le parole non si  scherza,  bisogna stare  attenti a quelle che si adoperano. Ieri, in una trasmissione radiofonica, un giornalista della Rai che mi intervistava a un certo punto ha parlato della spiaggia di Gaza dicendo che sotto vi erano seppelliti centinaia di migliaia di palestinesi. Alla mia obiezione che secondo le stesse informazioni di Hamas le vittime sarebbero  all’incirca 50 mila  mi ha risposto disinvoltamente: “Ma  cosa vuole che le dica… lì c’è stato un genocidio!”. Ma sì certo: un genocidio in più o in meno che differenza volete che faccia?

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