Il caso
Il Fitto-Day rovinato dal "giallo" delle note stampa sull'Ucraina. Stallo sulla Rai
Nella versione della Lega c'era lo stop di Zelensky all'utilizzo delle armi in Russia, in quella di Palazzo Chigi no. In cdm la nomina del ministro a Bruxelles. Rebus per la sostituzione. E Meloni striglia Salvini e Tajani su manovra e ius scholae
Doveva essere il giorno “del facciamo vedere agli italiani che siamo uniti”. Invece il vertice di maggioranza, seguito dal Consiglio dei ministri che incoronerà Raffaele Fitto commissario europeo per l’Italia, passa alle cronache per un incidente “di penna” sull’Ucraina. Non proprio un tema secondario. Note stampa inviate e poi cancellate, linee politiche che scompaiono dalle chat: questo messaggio è stato eliminato. A volere credere alle versioni dei protagonisti è stato un banale incidente nell’inviare la nota del centrodestra. Anche se fosse così resta abbastanza rivelatore.
Dopo due ore e passa di vertice Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini e Maurizio Lupi decidono di uscire con la classica nota congiunta per mettere in fila tutti gli argomenti su cui c’è la massima unità: tutto. Alle 14.58 dalla chat della Lega esce una parte finale dedicata “alla condivisione dei leader della maggioranza sulla crisi in medio oriente” e – ecco il diavolo che si insinua nei dettagli, che tali non sono – “sull’Ucraina con appoggio a Kyiv, ma contrari a ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini”. Tecnicamente è una bomba. Significa, testuale, sconfessare l’iniziativa condotta da Zelensky nelle ultime settimane, al di là dell’utilizzo delle armi italiane o meno. Questa è la versione che esce dalle chat della Lega. In contemporanea su quella di Palazzo Chigi ne esce un’altra. Sono sempre le 14.58: la nota del centrodestra è identica ma a proposito delle due guerre in corso si dice che fra i quattro leader c’è “condivisione sulla crisi in medio oriente e sulla posizione del governo italiano relativamente alla guerra in Ucraina”. Stop. Basta confrontare le due versioni per capire che non si tratti di lana caprina. Dopo 14 minuti la chat della Lega cancella la precedente versione e invia quella fotocopia di Palazzo Chigi. Da ricostruzioni con fonti incrociate si capisce che la versione dura dell’Ucraina era stata messa sul tavolo, pronta a essere emendata, magari modificata e spiegata meglio. E comunque si era fatto un ragionamento sulle armi da utilizzare nella controffensiva da parte di Kyiv, soprattutto da parte di Salvini. Anche se sul fatto che non debbano essere utilizzate quelle italiane in Russia nei giorni scorsi lo hanno detto Tajani, ma anche Guido Crosetto, seppur con sfumature diverse e ragionamenti ampi. A voler prendere per buona la versione dell’inciampo che può sempre capitare, questa storia racconta di come ci sia dalle parti della maggioranza tutta, una sorta di stanchezza, sfiducia e forse timore rispetto al futuro della guerra. Soprattutto alla vigilia delle elezioni negli Usa. Anche se agli atti la posizione dell’Italia non cambia.
Questo è stato l’incidente, poi si è assistito alla fumata nera sui nuovi vertici della Rai con i veti incrociati di FdI e Lega su Giampaolo Rossi come nuovo ad che avrebbero spinto Meloni a provocare gli alleati con un frase tipo “allora sparigliamo e mettiamo un manager esterno”.
Per il resto, è stato il giorno di Raffaele Fitto: la cui designazione come commissario è stata annunciata da Meloni in Cdm, con tanto di applauso dei colleghi. E telefonata finale della premier a tutti i leader di opposizione (Schlein, Conte, Calenda, Renzi...) come atto di galateo istituzionale. Meloni ha riacceso così la macchina del governo dopo la sosta estiva e ha aperto il cantiere manovra. Ricordando ai ministri di essere cauti nelle dichiarazioni per non generare confusione (riferimento a Salvini sulle pensioni), ma anche sul programma di governo (ce l’aveva con Tajani, alfiere estivo dello ius scholae). Restano agli atti due fatti: la voglia di unità macchiata dalle note diverse sull’Ucraina e l’addio “doloroso” a Fitto che per scaramanzia non prenderà casa a Bruxelles fino a quando non avrà superato tutti gli ostacoli burocratici della nomina (sperando che sia accompagnata oltre che dalle deleghe del Pnrr e Coesione, anche dalla vicepresidenza esecutiva). Per la sua sostituzione che non arriverà prima di novembre, siamo al valzer delle ipotesi. Meloni non vorrebbe un rimpasto, ma ridistribuire fra ministri e sottosegretari le quattro deleghe lasciate libere da Fitto. Di sicuro Coesione e Pnrr dovrebbero marciare unite. A differenza di Affari europei e Sud che potrebbero ingrossare i portafogli di Edmondo Cirielli e Nello Musumeci. Tecnicamente la premier potrebbe utilizzare le due caselle di sottosegretari lasciate vuote da Augusta Montaruli e Vittorio Sgarbi per designare il successore di Fitto e creare, via decreto, un altro ministro ancora. Non le manca il tempo per decidere.
Antifascismo per definizione