L'arrivo di Ignazio Marino in Europa e i conti in tasca a Roma
Chiacchierata con l'ex sindaco che "rientra" da Strasburgo. Il termovalorizzatore di Gualtieri, che “numeri alla mano” non gli pare una buona soluzione, e i tassisti che ora gli danno ragione sui Fori pedonalizzati
“Chiedere a me se opto per la Capitale è come domandare a Francesco Totti se tifa Roma”, aveva detto giorni fa il neo-europarlamentare di Avs ed ex sindaco di Roma Ignazio Marino. E dunque non solo per Roma ha optato, Marino, ex primo cittadino dem defenestrato dal Pd nel 2015, ma per Roma ha anche a lungo ragionato, il chirurgo anche detto “marziano”.
E ragionando ha deciso di candidarsi, sia per l’Italia (“i paesi del Nord-Europa tendono a essere severi con i paesi più deboli”, dice, raccontando di essersi “arruolato” per “poterci difendere” anche in commissione Bilancio, oltre che in Commissione Sanità e Ambiente) sia in nome della transizione ecologica sia per poter agire in tema di sanità. E, ultimo ma non ultimo, per la città che ha governato per 28 mesi e che ora guarderà da lontano ma “numeri alla mano”, dice. Farà insomma i conti, Marino, e di fatto saranno conti in tasca anche all’attuale amministrazione, ché non è un mistero che il termovalorizzatore voluto dall’attuale sindaco dem Roberto Gualtieri non pare all’ex sindaco la soluzione.
Ma quindi da dove parte (o riparte) il Marino europarlamentare? “Una delle questioni che più mi impensierivano, da sindaco, era stata la tardiva chiusura della discarica di Malagrotta, prevista nel 2007, come chiedeva la Ue, ma rimandata. Un ritardo che ha pesato, visto che Roma, sanzionata a livello europeo, non aveva potuto accedere a fondi che le sarebbero stati utilissimi. L’Europa ci guarda, ed è attenta”.
Torniamo ai conti, dunque. E i conti portano necessariamente al termovalorizzatore. “Stiamo parlando”, dice Marino, “di un impianto che ancora non esiste e che però, nel contesto del contratto di project financing, una volta realizzato, prevede una durata della concessione di 33 anni e 5 mesi. L’impianto costa 7 miliardi, 392 milioni e 700 mila euro, il Comune ci mette soltanto 40 milioni, il resto lo mette un privato. Che ovviamente vuole recuperare l’investimento, e ci mancherebbe, ed ecco spiegati i 33 anni e rotti di concessione. Ma sappiamo anche che l’obiettivo europeo è quello di un quadro ‘carbon neutral’ per il 2050. Se l’impianto fosse pronto nel ‘27 o nel ‘28, aggiungendo 33 anni e 5 mesi, si arriverebbe al 2061: saremmo fuori di 11 anni. I conti non tornano”.
E allora lui, l’ex sindaco, che cosa farebbe? “Io parto da altri numeri, e cioè dall’obiettivo europeo che prevede il raggiungimento di una percentuale di raccolta differenziata del 75 per cento annuo entro il 2030. Se si raggiungesse quella cifra, al Comune di Roma resterebbero soltanto 300-350 mila tonnellate da smaltire. Ma allora perché costruire un impianto che smaltisce 600 mila tonnellate annue? Io ho portato la differenziata dal 20 al 45 per cento in 28 mesi. Ma nel 2023 si era a quota 43, meno due punti. Ora si prevede che un privato risolva il problema dello smaltimento, esattamente come tra il 1963 e il 2013, gli anni di Manlio Cerroni. Sono scelte, per carità, lucide e non casuali. Ma se si prosegue lungo questa china, arriveranno altre sanzioni”. Ma non vuole fare il giustiziere, l’ex sindaco rientrato dalla finestra a Bruxelles. Anzi è felice: “Persino i tassisti mi dicono che ora apprezzano i Fori pedonalizzati e illuminati, e c’è chi mi dice: lei era l’unico ad avere una visione. Beh, sono soddisfazioni”.
L'editoriale del direttore