strategia o ipocrisia?

Migranti, difesa, debito, solidarietà. Perché a Meloni conviene un flop dei sovranisti in Europa

Claudio Cerasa

Ecco perché per l’Italia auspicare che vi sia un’Europa governata da una destra dura, poco solidale, inflessibile sui conti, poco desiderosa di scommettere su una nuova forma di sovranità europea, è una posa tafazziana. Oltre la cipria di Salvini e Le Pen

Che differenza c’è tra cipria e realtà? La notizia dell’allontanamento della Lega di Matteo Salvini e del Rassemblement national di Marine Le Pen dai nazionalisti tedeschi dell’AfD contiene un elemento di interesse importante e un elemento di ipocrisia clamoroso. L’elemento di interesse, di cui abbiamo dato conto ieri sul nostro giornale, riguarda il tentativo da parte di Salvini e Le Pen di dimostrare che i propri soggetti politici non hanno intenzione di farsi risucchiare in Europa all’interno di una pericolosa spirale estremista. Il calcolo è di per sé importante. Nel 2019, i partiti populisti consideravano l’estremismo una chiave utile per provare a conquistare voti in Europa. Oggi, gli stessi partiti populisti che cinque anni fa fecero il pieno di voti giocando con i peggiori istinti antisistema, cercano di presentarsi sulla scena pubblica con un profilo leggermente diverso, ripulito, incipriato. Il no all’AfD, da parte di Le Pen, arriva dopo il sostengo  all’Ucraina manifestato sorprendentemente dallo stesso partito qualche settimana fa (partito che come la Lega nel passato ha avuto rapporti più che opachi con il mondo putiniano).

 

Il tentativo dei partiti della destra nazionalista è chiaro e coincide con lo stesso schema di gioco che ha in mente Giorgia Meloni: rendere credibile l’ipotesi che dopo il 9 giugno vi possa essere una maggioranza di destra di governo in grado di dare le carte in Europa, in grado di replicare a Bruxelles lo stesso equilibrio magico che la destra ha trovato in Italia e in grado soprattutto di estromettere dalla stanza dei bottoni il Partito socialista. I sondaggi dicono che, al momento, i seggi che potrebbero prendere tutti i partiti di destra e di centrodestra che siederanno in Europa nella prossima legislatura rende credibile lo scenario evocato da Meloni, Salvini, Le Pen, Orbán. La maggioranza necessaria per dare le carte al Parlamento europeo è pari a 361 deputati e tutti i partiti di destra, compresa l’AfD, a oggi si aggirano, secondo le ultime proiezioni, attorno a quota 353. I  sondaggi fotografano i numeri ma non inquadrano la realtà. E la ragione per cui la grande alleanza delle destre europee è un’ipotesi farlocca, come spiegano bene oggi su Euporn Paola Peduzzi e Micol Flammini, è legata a tre fattori.

 

Il primo fattore è politico: il Ppe ha già detto che governare con Marine Le Pen (e con Orbán) è impossibile.

 

Il secondo fattore è strategico: immaginare che la Commissione europea del futuro possa fare a meno di un accordo strategico tra gruppi politici che governano in Spagna e in Germania (Pse) e in Francia (Renew) è semplicemente impensabile.

 

Il terzo fattore è quello più inconfessabile e riguarda un tema che dovrebbe stare a cuore ai partiti della destra italiana: ma siamo sicuri che a un paese come l’Italia, e ai partiti che si trovano al governo, convenga auspicare che vi sia un trionfo rotondo e netto delle destre europee e che vi sia un’alleanza larga del Partito popolare europeo con i partiti nazionalisti?

 

Detto in modo più brutale: è davvero sufficiente, per partiti come la Lega e come il Rassemblement national, darsi un tocco di cipria mandando a quel paese l’AfD per essere partiti meno pericolosi?

   
La valutazione sull’essere dei partiti pericolosi, in questo caso, non è generale, quanto sono anti europeisti, quanto sono xenofobi, quanto sono illiberali, quanto sono complottisti, quanto sono trumpiani, quanto sono oscurantisti, ma è specifica e riguarda un problema che chi governa l’Italia dovrebbe avere chiaro in testa. Se si guarda con attenzione alle agende portate in Europa dai partiti sovranisti, nazionalisti, euroscettici, ovvero gran parte dei partiti con cui sono alleati in Europa Meloni e Salvini, si capirà facilmente che l’interesse nazionale del nostro paese, dell’Italia, è inversamente proporzionale alle istanze politiche promosse in Europa da questi partiti.

 

La cupa internazionale dell’euroscetticismo è contraria a lavorare per avere maggiore solidarietà in Europa sui migranti, cosa che invece chiede l’Italia. E’ contraria a estendere progetti solidali come il Next Generation Eu. E’ contraria a lavorare a un mercato unico europeo. E’ contraria a lavorare per avere maggiori occasioni in cui far leva sul debito comune europeo. E’ contraria a far lavorare insieme, di concerto, gli eserciti europei, per creare una difesa comune. E’ contraria ad aumentare gli accordi di libero scambio nel mondo, cosa che invece farebbe comodo a paesi esportatori come l’Italia. E’ contraria all’opzione di non replicare contro la Cina la politica dei dazi portata avanti dall’America. Ed è contraria, infine, a interpretare in modo il più possibile flessibile le regole di rientro da deficit eccessivi dei paesi molto indebitati come l’Italia.

 

La destra nazionalista, in giro per l’Europa, tenta in tutti i modi di darsi una ripulita, quando ne ha l’occasione, ma ciò che la destra di governo, a partire da Meloni, dovrebbe capire con urgenza è che per un paese come l’Italia auspicare che vi sia un’Europa governata da una destra dura, poco solidale, inflessibile sui conti, poco desiderosa di scommettere su una nuova forma di sovranità europea, è una posa simile a quella che assumeva il mitico Tafazzi quando accarezzava con una mazza i suoi gioielli di famiglia.

     

Il governo delle destre in Europa può essere un buon modo per non dire in campagna elettorale che dopo il 9 giugno toccherà governare con i nemici socialisti. Ma la verità che Meloni non può dire è che oggi dovendo scegliere se governare con le destre rigoriste o se governare con i socialisti solidali non ci sarebbe scelta: in Europa meglio stare con la cara Elly che con la temibile Marine.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.