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Dopo Pescara

"Meloni non si autocelebri ed espliciti le scelte". Parla Luca Ricolfi

Che cosa deve fare la premier nella fase "FdI 2.0"?

Marianna Rizzini

Che tipo di partito deve essere o diventare, Fratelli d'Italia, mentre la sua leader, che a Pescara ha scommesso tutto sul suo nome, ambisce a farsi riconoscere come statista?

"Il referendum su di sé può funzionare alle Europee, ma rivelarsi una catastrofe quando si dovrà andare alle urne per confermare la riforma costituzionale (Matteo Renzi docet). Quanto agli imbarazzi, temo che ve ne saranno altri, e che non sia solo una questione di competenze”. Luca Ricolfi – sociologo, politologo, scrittore – osserva Giorgia Meloni nei giorni successivi alla convention di Pescara. C’è la premier, e c’è il suon partito, Fratelli d’Italia, i cui esponenti o referenti non sempre aiutano a veicolare un’immagine politicamente “adulta” (vedi caso Rai, vedi sparo di Capodanno). Che tipo di partito deve essere o diventare, FdI, mentre la sua leader, che a Pescara ha scommesso tutto sul suo nome, ambisce a farsi riconoscere come statista? “Conosco la risposta standard a questa domanda”, dice Ricolfi: “A FdI manca una vera classe dirigente, il partito dovrebbe aprirsi alla società civile, irrobustire i suoi quadri con personalità competenti e di alto profilo, bla-bla-bla. C’è però anche un’altra risposta: Giorgia Meloni è già considerata una statista a livello europeo (incluso il Regno Unito, grazie alla stima del premier Rishi Sunak). Per fare il salto, le occorre essenzialmente: che le politiche di esternalizzazione delle migrazioni si rivelino efficaci e vengano adottate da altri paesi; che prevalga un’interpretazione elastica del patto di stabilità;  che i conservatori Ecr, da lei guidati, entrino nella maggioranza che esprimerà la nuova commissione Ue. L’ostacolo principale a quest’ultima eventualità è Giorgia Meloni stessa, che promette ‘mai con i socialisti’, una prospettiva estremamente inverosimile, anche se non quanto quella caldeggiata da Matteo Salvini, che crede (o finge di credere) che possa esservi un vero e proprio ribaltone in Europa grazie a un successo del raggruppamento più estremista (Identità e Democrazia), quello che include il Front National di Marine Le Pen e Alternative für Deutschland, una formazione di estrema destra con nostalgie hitleriane e pulsioni estreme sul versante migratorio”. Ma è possibile tenere legata la volontà di procedere al suddetto referendum su di sé con quella che pare una necessità ormai imprescindibile, allargare FdI al mondo produttivo e a chi  potrebbe forse impedire qualche caduta politico-stilistica? Per Ricolfi, come si diceva, il referendum su di sé è un rischio e gli imbarazzi potrebbero ripetersi, non essendo solo questione di “competenza”: “…La politica tutta è scesa a livelli infimi”, dice, “e i media sono ormai ridotti a macchine del fango, faziose e senza scrupoli: difficile pensare che un partito possa sfuggire del tutto al tritacarne. Del resto è una questione di numeri: il personale politico-amministrativo che fa capo ai partiti è composto da decine di migliaia di persone, è già un miracolo che così pochi inciampino”. Per consolidare la posizione, la strada qual è? Seguire la via della Basilicata – con FdI che si allarga al centro – o quella del fortino chiuso che ha portato la premier alla vittoria nel 2022? “A me sembra che il fortino chiuso”, dice Ricolfi, “non possa ripetere il miracolo del 2022, e che la strada maestra sia invece quella di un intenso dialogo programmatico con il centro, specie con il partito di Carlo Calenda, che ha un ottimo personale politico. Però quello che più manca è un’altra cosa ancora: una spiegazione chiara del perché il governo, anche volendo, non può fare molto di più (superbonus e Europa); e una esplicitazione solenne delle scelte fondamentali”. “Secondo me”, dice Ricolfi, “Meloni ha una politica economico-sociale molto precisa, fondata sulla attenuazione delle diseguaglianze e la creazione di posti di nuovi, ma non ha ancora avuto la lucidità di esplicitarla davanti al paese, e di spiegare in che cosa tale politica diverga sia dalle ricette della sinistra, sia da quelle iperliberiste spesso invocate (ma mai praticate) a destra. Sul piano della comunicazione, l’elenco delle cose fatte, inevitabilmente noioso e autocelebrativo, è molto meno efficace dell’indicazione della direzione di marcia”.
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.