editoriali
Pd e Lega contro Gentiloni e Giorgetti sulla riforma del Patto di stabilità
I due partiti votano in senso contrario rispetto alla maggioranza dei loro gruppi politici. La campagna elettorale è più forte del senso di responsabilità
La riforma del Patto di stabilità e crescita che sarà votata oggi dal Parlamento europeo è stata proposta da Paolo Gentiloni ed è stata negoziata e approvata da Giancarlo Giorgetti. Il commissario europeo all’Economia e il ministro italiano dell’Economia non sono completamente soddisfatti dell’accordo raggiunto all’Ecofin, ma entrambi hanno salutato l’intesa come un passo avanti nella direzione giusta, in ogni caso un miglioramento rispetto alle vecchie regole. Ci sarà un po’ più di spazio fiscale per gli investimenti e le riforme. E’ stata inclusa una mini “golden rule” per tenere conto delle spese per la Difesa. Grazie a un’alleanza tra Francia e Italia è stata strappata alla Germania una concessione che permette di scontare dallo sforzo sul deficit l’aumento degli interessi sul debito per un triennio. Le sanzioni delle procedure per deficit eccessivo saranno più morbide. Eppure il Partito democratico, il partito di Gentiloni, e la Lega, quello di Giorgetti, hanno deciso di non votare a favore della riforma del Patto di stabilità.
Astensione, non voto o voto contrario poco importa. Se fosse stato al governo, il Pd avrebbe seguito il gruppo socialista e la posizione del suo commissario Gentiloni. Del resto una maggioranza degli eurodeputati del Pd voleva votare a favore, ma ha accettato l’astensione per non imbarazzare la segretaria, Elly Schlein. Usando la clava contro l’Ue, la Lega colpisce la credibilità del suo ministro Giorgetti in Europa. L’irresponsabilità è aggravata dai dati che hanno pubblicato ieri Istat ed Eurostat. Il deficit dell’Italia nel 2023 è stato di almeno il 7,4 per cento, il più alto di tutta la zona euro, con un debito al 137,3 per cento, il secondo dopo la Grecia. Le follie come i Superbonus si pagano con cifre che diventano insostenibili e incompatibili con gli investimenti. Il pericolo non è che sia il Patto di stabilità a certificarlo, ma i mercati finanziari, in modo molto più doloroso.
L'editoriale del direttore