Spasiba, Matteo. L'Europa, Putin e il modello Salvini

Claudio Cerasa

Appena può, il segretario della Lega si spende per il capo del Cremlino, perché se sei un nemico dell’Europa e degli ingranaggi politicamente corretti delle democrazie liberali, non puoi essere un nemico di Putin. E’ l’algoritmo del salvinismo. Esempi nel tempo

Spasiba, Matteo. Si è speculato molto in questi giorni sulle ragioni che hanno spinto Matteo Salvini a inviare un implicito messaggio di solidarietà a Vladimir Putin, non nel giorno successivo all’attentato a Mosca di venerdì scorso ma nel giorno successivo al suo davvero inaspettato, diciamo così, trionfo elettorale. La frase del leader della Lega è quella che ormai avrete imparato a memoria: “In Russia hanno votato, ne prendiamo atto. Quando un popolo vota ha sempre ragione, le elezioni fanno sempre bene, sia quando uno le vince, sia quando uno le perde”. Le parole di Salvini, nei giorni precedenti all’attentato, hanno fatto discutere per ragioni diverse l’una dall’altra. Hanno fatto discutere perché, in giro per il mondo, i leader che hanno espresso una valutazione sull’esito delle elezioni russe senza aver notato la presenza nelle elezioni russe di una democrazia farlocca, ferita, finta, dove gli oppositori del regime finiscono sottoterra, sono leader poco raccomandabili (il presidente venezuelano, il presidente siriano, il presidente della Corea del Nord, il presidente cinese, oltre a Salvini).

 

Hanno fatto discutere, ovviamente, perché, in Italia, le parole di Salvini hanno occupato uno spazio politico diverso rispetto a quello che ha scelto di presidiare la presidente del Consiglio del governo di cui Salvini è, incidentalmente, anche vicepremier. Ma non hanno fatto discutere per una ragione diversa, che riguarda un punto che varrebbe la pena affrontare con urgenza e che potrebbe spiegarci perché è credibile che tutte le carezze rivolte da Salvini, in questi anni, alla Russia siano carezze che Salvini ha offerto gratuitamente e non per altre ragioni di cui si è molto parlato.

 

E il punto è semplice: perché Salvini, nonostante la Lega in Parlamento da due anni a questa parte sia stata molto diligente nel votare tutto ciò che andava votato per sanzionare Putin e aiutare una democrazia come quella Ucraina aggredita dalla Russia di Putin, quando può cerca di offrire al paese un’immagine diversa da quella che emerge dagli atti parlamentari? E perché Salvini, e i vecchi putinisti al seguito, cercano da anni di descrivere la Russia di Putin come se questa fosse costantemente sotto attacco da parte delle forze del male, ignorando il fatto per esempio che il terrorismo esportato e promosso dalla Russia in giro per il mondo non è meno drammatico e sanguinario di quello esportato dall’Isis, che venerdì ha rivendicato l’attentato di Mosca? E perché, infine, Salvini cerca di custodire a tutti i costi l’immagine di chi, per capirci, tenta di non far dimenticare tutto quello che Putin ha rappresentato per il salvinismo nei suoi dieci anni alla guida della Lega?

 

Breve ripasso. Matteo Salvini, 15 febbraio 2020: “Putin è un uomo di governo stimato e stimabile”. Matteo Salvini, 20 ottobre 2018: “Io qua a Mosca mi sento a casa mia. In alcuni paesi europei no”. Matteo Salvini, 10 luglio 2018: “Vado a incontrare Putin. Uomini come lui, che fanno gli interessi dei propri cittadini, ce ne vorrebbero a decine in questo paese”. Matteo Salvini, 15 marzo 2017: “L’arresto di Navalny è l’ennesima montatura mediatica. Meglio la Russia di Putin di questa Europa”. Marzo 2015: “L’Europa processa Putin, ma io lo preferisco a tanti euro-buffoni!”. Marzo 2015: “Putin è una delle persone con le idee più chiare al mondo, mi basterebbe essere a un minimo del suo livello”. Marzo 2015: “Preferisco Putin all’Europa, non ci sono dubbi. Basta pensare che in Russia hanno una tassazione bassa, al 15 per cento”. Dicembre 2015: “Putin e Le Pen sono due tra i migliori statisti in circolazione. Noi siamo vicini a chiunque difenda un futuro pacifico per l’Europa”. Luglio 2019: “Lasciatemi dire che Putin è uno dei migliori uomini di governo che ci siano ora sulla faccia della terra… Insieme a Trump”. Luglio 2018: “L’annessione della Crimea alla Russia è avvenuta dopo un referendum, ci sono alcune zone storicamente russe, in cui c’è una cultura e ci sono tradizioni russe, e che quindi appartengono legittimamente alla Federazione russa. Che sia stato un referendum falsato dalla presenza dei militari di Mosca è un punto di vista, ma non è il mio”.

  

Salvini, come abbiamo detto, nel corso del tempo si è corretto, con i fatti, non con le parole. Ma anche negli ultimi anni ogni volta che ne ha avuto la possibilità, come è successo la scorsa settimana, ha utilizzato una chiave narrativa che evitasse, per così dire, di demonizzare il leader russo. La domanda sorge spontanea: perché? Sarebbe facile dire che Salvini deve comportarsi così per contratto, per un qualche vincolo indicibile che lo legherebbe al presidente russo, vincoli più stringenti di quelli che sono stati fissati nero su bianco in un accordo di cooperazione che la Lega ha sottoscritto nel 2017 con il partito di Putin, Russia unita, e che Salvini ha coerentemente con la propria storia rinnovato nel marzo del 2022 per altri cinque anni, con la guerra in Ucraina in corso. Sarebbe troppo facile buttarsi sul complottismo. E’ forse più interessante invece provare a ragionare su tutto ciò che politicamente spinge Salvini, quando ne ha l’occasione, a lanciare una carezza al vecchio amico Vladimir, a evitare ogni critica diretta al presidente russo e a mettere in campo strategie sofisticate volte a non considerare Putin come il vero responsabile dell’aggressione dell’Ucraina. La ragione di tutto questo è insieme disarmante, inquietante e lineare.

  

Putin, da sempre, per il mondo sovranista rappresenta tutto ciò che il mondo nazionalista sogna di promuovere con la propria agenda politica. L’indebolimento dell’Europa. La critica alle democrazie liberali. La santificazione dell’algoritmo anti sistema. La legittimazione del complottismo. La diffidenza nei confronti della Nato. La demonizzazione di tutto ciò che rappresenta, per la modernità, la proliferazione della globalizzazione. Il putinismo, per i sovranisti, è da anni considerato come un’ideologia utile a scardinare gli ingranaggi politicamente corretti delle democrazie liberali e non è un caso che coloro che nel passato e  nel presente hanno mostrato maggiore sensibilità al richiamo del mondo putiniano, almeno a parole, sono gli stessi soggetti politici che hanno mostrato una certa dimestichezza nell’abbracciare ogni genere di teoria illiberale.

 

E’ per questo che, oltre a non detestare Putin, il modello Salvini si sposa felicemente con Trump, con Orbán, con l’AfD (e ora un po’ meno forse con Le Pen, che su Putin e sull’Ucraina ha utilizzato parole nette che il leader della Lega purtroppo si sogna). Ed è per questo che ogni volta che ne ha l’occasione – e non solo quando la Russia subisce attentati – Salvini tenta di presentarsi di fronte ai suoi elettori con lo sguardo e il lessico di chi cerca in tutti i modi di ricordare che il Salvini che ha trasformato Putin in un argine contro gli estremismi politicamente corretti dell’Europa è sempre lui, è sempre qui, è sempre lo stesso. Non sappiamo che durata avrà l’algoritmo del salvinismo ma sappiamo che ci sono ottime possibilità che Salvini si spenda ancora oggi per Putin perché ci crede, non perché lo deve fare, e semplicemente perché se sei un nemico dell’Europa non puoi essere un nemico di Putin. Spasiba, Matteo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.