L'intervista

Bertinotti: “Pd e M5s inconciliabili? Peggio, non hanno idee”

Gianluca De Rosa

L'ex leader di Rifondazione boccia i paragoni tra il centrosinistra dei governi Prodi e il "campo largo" sognato da Elly Schlein: "Le alleanze si possono pensare tra soggetti forti prima ancora che vicini,  io non vedo la forza nei soggetti in campo"

 “Il campo largo?Non lo vedo, non per un atteggiamento aristocratico, ma perché semplicemente non c’è la politica, non capisco come le alleanze possano supplire alla mancanza di idee”. Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera e leader di Rifondazione comunista, il partito che nel 1998 fece cadere il primo governo Prodi e che nel 2008 (con il voto di Franco Turigliatto) contribuì anche alla caduta del secondo governo guidato dal professore bolognese, non ha grande fiducia nel campo largo. Proprio Prodi suggerisce al Pd di ispirarsi all’esperienza dei suoi governi per trovare un accordo con il M5s. All’epoca, in realtà, anche per la difficile conciliabilità tra il radicalismo di Rifondazione e il moderatismo dell’Ulivo non andò benissimo. E però per Bertinotti oggi la questione è un’altra. “A mio avviso – dice – il capitolo attuale non ha nessun retroterra storico assimilabile, soprattutto perché non ci sono più soggetti forti.  L’unità delle sinistre – prosegue – era stato un leitmotiv della sinistra di classe quando gli uni si chiamavano comunisti e gli altri socialisti, l’unità era iscritta nella loro storia, ma stiamo parlando di un libro che si è chiuso con il 900. Se invece parliamo delle esperienze dei governi Prodi – continua ancora  – ci riferiamo una cosa diversa perché allora non c’è mai stato un tentativo di unità: la sinistra radicale, che prendeva la forma di Rifondazione comunista, non si è mai posta il problema dell’alleanza organica, si diceva: ‘noi siamo noi e voi siete voi, non c’è una possibilità di pensarci insieme; noi siamo contro la globalizzazione, voi siete a favore, siamo diversi’.  Rifondazione partecipò a quei governi perché una parte pensava che il movimento dei movimenti, quello altromondista, fosse in grado di permeare le istituzioni, nacque così l’idea di una convergenza sul terreno della pratica di governo che poi si rivelò fallimentare proprio per questa incompatibilità di visione”.

Il problema tra Pd e M5s secondo Bertinotti oggi è invece un altro. “Non è una questione di incompatibilità tra radicalismo e moderatismo, oggi manca proprio la politica, mancano le idee”, ripete. “Metà della popolazione elettorale non vota, il problema non dovrebbe essere quello delle alleanze per allargare il campo, ma quello della profondità per raggiungere chi pensa che la politica non gli appartenga, un’opposizione alle destre senza questo radicamento sociale risulta ininfluente. Le alleanze si possono pensare tra soggetti forti prima ancora che vicini,  io non vedo la forza nei soggetti in campo. Il Pd è un partito animato da buoni sentimenti, ma non da una politica”.

 

Eppure con i 5 stelle ci si divide lo stesso, soprattutto nei territori. A Roma i grillini ce l’avevano con il termovalorizzatore e l’alleanza è saltata, in Piemonte non si accordano con i dem perché contestano i partenariati pubblico-privato nella sanità, a Firenze a dividere sarà probabilmente la nuova pista dell’aeroporto. Insomma sembra che un problema di radicalismo e pragmatismo che si scontrano ci sia eccome. “Ma guardi – dice Bertinotti – nel Pci sulla questione ecologica, ad esempio sul nucleare, ma anche su cose importantissime come aborto e divorzio, si discuteva, c’erano posizioni diverse, ma erano conciliate dentro un cammino comune: se non c’è la metà invece è evidente che questi contrasti, importanti ma periferici, possono diventare impedenti per la alleanze”. Serve un apparato teorico? “No, no basterebbe molto meno”, se la ride l’ex presidente di Montecitorio. “Manca anche quello, ma non c’è più soprattutto il popolo. Non esiste un livello di partecipazione democratica costruita che possa essere il soggetto decisionale in campo di contrasto”. Bertinotti scioglie la frase con un paragone. “Cgil, Cisl e Uil risolvono i contrasti nella consultazione dei lavoratori, il soggetto appunto, che per la politica dovrebbe essere il popolo, ma la sinistra lo ha perso”. I sindacati sono più vivi dei partiti dunque ? “In realtà anche sullo stato di salute dei sindacati, malgrado la mia inveterata amicizia, andrei molto cauto, si tenga conto che lo misura  la dinamica salariale…”. L’Italia in effetti ha un record negativo in Europa per la crescita degli stipendi. A proposito, il salario minimo, l’unica vera proposta del campo largo, è  azzeccata per aggregare e ritrovare il popolo? “Si – risponde Bertinotti – però dopo la proposta manca tutto il resto: dov’è il protagonismo sul salario minimo? Come si fa a mettere sotto il governo che lo rifiuta? Queste sono le domande. Non basta dire ‘noi siamo per il salario minimo’,  devi dire cosa vuoi fare per affermare questo obiettivo, quali forme di lotta mettere in campo, questa è la politica, senza, per quel 50 per cento che non vota, è come se tu non avessi detto nulla”.
 

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