W il McLollo!

Lollobrigida e i bagni di realtà sovranisti di fronte al metodo McDonald's

Giuseppe De Filippi

Il ministro nella tana del mondialismo alimentare, che festeggia l'apertura del settecentesimo ristorante in Italia. La disfida della cotoletta è durata poco: una grande catena mondiale lo dimostra con i fatti che non c’è alcun interesse a colonizzare mercati 

Forte della affermazione con cui ha aperto la giornata, quel “la nostra alimentazione è la migliore del pianeta”, qui riportata in minuscolo ma diffusa in maiuscolo su varie piattaforme social, il ministro Francesco Lollobrigida ha potuto serenamente passare il resto del pomeriggio nella tana del mondialismo alimentare, da quel McDonald’s che con orgoglio celebrava l’apertura del settecentesimo ristorante in territorio italiano.

 

 

La disfida della cotoletta è durata però poco, facendo svanire l’ardore sovranista di fronte all’impegno decennale del grande gruppo multinazionale per promuovere proprio le filiere italiane e specialmente quelle Dop e Igp, con la testimonianza, oggi a Roma, del presidente del consorzio della Pera dell’Emilia-Romagna Igp e dell’assessore all’agricoltura della Regione, entrambi impegnati anche nel recupero della capacità produttiva dopo i gravissimi danni dell’alluvione ed entrambi in buon dialogo con l’amministratrice delegata di McDonald’s, Giorgia Favaro.

  

  

Lollobrigida si è trovato, di buon grado, in un ambiente favorevole proprio a quel cibo italiano che lui difende con tono pugnace. Solo che non c’era bisogno di fare la voce grossa, perché una grande catena mondiale lo dimostra con i fatti che non c’è alcun interesse né convenienza a colonizzare mercati o a imporre chissà quali gusti e produzioni d’importazione e si ha invece un grande vantaggio dal rapporto con seri e professionali fornitori locali e che, anzi, un gruppo con presenza in moltissimi paesi può fare da supporto per la distribuzione all’estero di specialità identificabili e apprezzate. L’Italia, paese sostanzialmente importatore nel mercato agroalimentare, ma dotato di alcune produzioni a forte valore aggiunto, dovrebbe puntare proprio sull’apertura commerciale, per dare spazio a chi può vendere nel mondo, e lasciar stare certe affermazioni tanto stentoree quanto inutili, proprio per dare una spinta a quelle parti della nostra “alimentazione” che possono giocarsela sui mercati di tutto il “pianeta”.

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