Il racconto

"Cara Giorgia serve democrazia nel partito". La riunione carbonara della minoranza di Fratelli d'Italia

Simone Canettieri

Nel sottoscala di un hotel l'assemblea dell'ala romana che fa capo a Fabio Rampelli. Tra Gabriella Carlucci, contesse ed ex ballerini si contesta il decisionismo della Fiamma magica nella Capitale 

Memorie dal sottosuolo di Fratelli d’Italia. Al piano meno uno dell’hotel Universo, alle spalle della stazione Termini, un bel pezzo del partito romano di Giorgia Meloni - che vuole “la democrazia” - si conta e si gasa in vista del congresso della Capitale del 23 e 24 marzo.

E’  quasi l’ora di cena: l’atmosfera carbonara si mischia ai profumi di carbonara e gricia che provengono dai ristoranti turistici della zona.  

Qui sotto, come i cristiani nella catacombe, c’è la minoranza organizzata del partito della nazione.  Quelli che dicono “Giorgia e Arianna accentrano troppo potere, ma non scriva il mio nome o mi cacciano”.  E’ una piccola notizia. Ma anche un fatto politico non banale in un’organizzazione che finora è stata sempre abbastanza leninista, contraria a tutti i frazionismi cari alla sinistra.

 
Si sta sotto terra in pura modalità Colle Oppio, la sede alfa della destra riaperta per una mostra sulle foibe "non ancora visitata da Meloni". L’animatore altri non può essere che il vicepresidente vicario della Camera Fabio Rampelli, re dei Gabbiani, con l’artiglio avvelenato. “Sono qui per Fabio, sono una militante da una vita”, dice una sfavillante Gabriella Carlucci, elegantissima.

La sala contiene circa duecentocinquanta persone e alla fine sarà piena. “Vorrei un caffè, ma non vado certo da un bangladino: può darmi una mano?”, chiede con estrema signorilità un’anziana signora dai modi raffinatissimi, uscita dalla Grande Bellezza di Sorrentino. Si scoprirà, dopo volgare insistenza, che si tratta della contessa piemontese Grazia Ciboldo. Da ottant’anni a destra. Nobiltà nera romana? “Queste etichette non vanno più di moda, come i titoli nobiliari”.   

Dettaglio rivelatore: all’ingresso della sala, terminata una rampa di scale, c’è un banchetto dove chi entra firma la sottoscrizione per la candidatura alla presidenza di Fratelli d’Italia a Roma. Si firma anche se non c’è il nome del candidato.

Per quello serviranno trattative, ma questo è comunque un segnale di forza dei rampelliani. Tocca chiamarli così. Ci sono un po’ di ragazzi con fisici palestrati di Gioventù nazionale. C’è Massimo Milani, il deputato commissariato da Meloni con Giovanni Donzelli prima delle ultime regionali: "Vogliamo democrazia". 

Spunta Andrea De Priamo, il senatore diversamente rampelliano, che la leggenda narra aprì la porta della sezione del Msi della Garbatella a una ragazzina bionda con la tutina rosa che voleva iscriversi al partito dopo le stragi di mafia del ‘92: era lei, Giorgia Meloni. 

In disparte Marco Scurria, senatore e già europarlamentare, nonché cognato di Rampelli (aridaje). Potrebbe essere lui l’oggetto contundente della minoranza contro la maggioranza al congresso di Roma. Arianna Meloni, e quindi la Fiamma magica, vuole invece Marco Perissa, quarantenne rampante con esperienza nel mondo dell’associazionismo sportivo.

In attesa che arrivi “Fabio” l’ingresso dell’hotel si ingolfa. Dopo una della sorelle Carlucci in quota spettacolo c’è posto anche per l’ex ballerino Mvula Sungani, consigliere per la danza del ministro Sangiuliano, esordio a tredici anni con Raffaella Carrà e poi una carriera lunghissima nello spettacolo con vari ruoli. Una fonte che aiuta: “Ao’, metti sul Google il suo nome”.  

La senatrice Lavinia Mennuni, che paragonò Fratelli d’Italia al partito comunista cinese, scende dal taxi con il marito Federico Guidi, consigliere comunale prima contro Veltroni poi con Alemanno, made in Balduina. Diego Cursio, già responsabile dei pensionati di FdI: “Si tratta di trovare un’intesa senza litigare e per il bene del partito”. Ovviamente nessuno qui mette in discussione la presidente del Consiglio. “E’ il Gabbiano che vola più in alto di tutti”, ebbe a dire un giorno Federico Mollicone, presidente dandy della Commissione cultura della Camera, che alla fine come le vere star, tutto in ghingheri, si presenta ma per ultimo. Sparsi qua e là consiglieri comunali e regionali. C’è l’assessore del Lazio Fabrizio Ghera. Diverse spillette tricolore ai baveri delle giacche. Qualche saluto del legionario. Cristiano Ciotta, presidente dell’associazione Sentiero Trilussa, ricorda: “Sembra di essere ritornati ai tempi delle correnti di An”. La riunione nel sottosuolo deve ancora iniziare, la conta interna è già partita. 
          

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.