L'analisi

Sì, va mantenuto il no al terzo mandato per i presidenti di regione

Giacinto Della Cananea

In vista delle prossime elezioni regionali non è ancora chiaro cosa deciderà il governo sulla rielezione, per la terza volta, di alcuni governatori. Al di là delle ragioni politiche, ci sono ragioni costituzionali per cui non si tratterebbe di una buona idea

In vista delle elezioni regionali della prossima primavera, si ripropone una duplice questione, vale a dire se ciascuna regione possa darsi regole diverse e, in particolare, se si possa prescindere dal divieto del terzo mandato consecutivo. Coloro i quali enfatizzano l’autonomia legislativa di ogni regione ne traggono la conseguenza che possano benissimo esservi regole assai diverse. Alcuni, come il presidente della Regione Puglia, si spingono fino ad affermare che il limite al mandato “è incostituzionale, viola la sovranità popolare”. Ma trascurano i basilari dati normativi.
 

Innanzitutto, la Costituzione si apre con l’affermazione che la sovranità popolare “si esercita nelle forme e nei limiti” che essa stabilisce; la volontà degli elettori, quindi, non è illimitata. Ed è sempre la Costituzione, all’articolo 122, a stabilire che il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità sono disciplinati con legge regionale “nei limiti stabiliti con legge della Repubblica”. La legge prevede, appunto, “la non immediata rieleggibilità” dei presidenti alla scadenza del secondo mandato consecutivo. La cogenza del divieto non è scalfita dalle decisioni di alcuni giudici, secondo le quali le regioni devono attenervisi nelle rispettive leggi elettorali, ma esso non è direttamente azionabile verso chi si candidi per la terza volta consecutiva. La Corte costituzionale potrà, se del caso, garantire l’osservanza del principio. Ma perché il divieto del terzo mandato consecutivo è così importante? Per comprenderlo, bisogna fare un passo indietro.
 

Fino agli anni Novanta del secolo scorso, gli organi di vertice delle regioni e dei comuni non potevano essere scelti direttamente dagli elettori. La disciplina elettorale è stata cambiata in senso maggioritario, nel 1993 per i sindaci e più tardi per i presidenti regionali. La riforma ha comportato un notevole rafforzamento di entrambi rispetto ai consigli comunali e regionali. È stato necessario, quindi, irrobustire le garanzie volte a impedire che si consolidino assetti di poteri in grado di ostacolare l’alternanza nella guida delle istituzioni locali e regionali. Come ha osservato la Corte costituzionale nella sentenza n. 60/2023, vi è “l’esigenza di favorire forme di ricambio della classe politica”. Questa esigenza assume importanza nella logica dei pesi e contrappesi, propria delle democrazie liberali.
 

Così, negli USA, 9 stati prevedono un unico mandato, ben 28 vietano il terzo mandato consecutivo e anche dove un limite di questo tipo non è espressamente stabilito, esso viene di fatto rispettato, per esempio in California. Dunque, nemmeno in un ordinamento di tipo federale mancano limiti all’eleggibilità. Essi costituiscono altrettante salvaguardie per l’alternanza al potere. Di qui l’auspicio che il governo, che ha già respinto una volta la proposta di eliminare il divieto del terzo mandato, lo faccia nuovamente. Contro la tentazione di qualche regione di agire come un potentato locale, va infine ricordato che l’articolo 5 della Costituzione, prima ancora di riconoscere le autonomie, dispone che la Repubblica è “una e indivisibile”.

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