Ghali - foto Ansa

Idoli

La sinistra e l'eterna ricerca di un eroe

Salvatore Merlo

In principio fu Rackete. Da Ilaria Salis a Ghali, passando per Patrik Zaki. Ma siamo sicuri che questi personaggi, considerati paladini, voterebbero per quella parte politica?

Accade a chiunque di sbagliarsi, di cominciare da Rousseau per arrivare al boia di Parigi, di partire con D’Annunzio per ritrovarsi con Farinacci, ma accade solo alla sinistra italiana di partire con Marx e di ritrovarsi con Ghali, di iniziare da Adorno e di arrivare a Dargen D’Amico. Dall’appello con gli orsetti lanciato dal palco di Sanremo per il cessate il fuoco, alla canzone “sono un italiano vero” fino alla richiesta (sempre sanremese) di “fermate il genocidio”, i due cantautori, Ghali e Dargen, hanno mandato in visibilio la sinistra, sono entrati nel cuore di Twitter, delle dichiarazioni alla stampa e degli editoriali della stampa. Solo che questi due eroi che arrivano dopo Patrick Zaki ed Elena Cecchettin, dopo Ilaria Salis e Paola Cortellesi, secondo noi almeno, un po’ la schifano la sinistra. Probabilmente non votano, se votano dubitiamo che votino il Pd, e un po’ sospettiamo che si piazzino in un luogo che più che politico è commerciale. Ghali più o meno ce l’ha pure spiegato con le sue canzoni ispirate, diciamo così, da Gaber: “Ma che politica è questa? / Qual è la differenza tra sinistra e destra? / Cambiano i ministri, ma non la minestra / Il cesso è qui a sinistra, il bagno è in fondo a destra”.

In Italia la storia replica con facilità, di solito con previsto quanto inopportuno precipizio nella commedia. Dunque queste due settimane che hanno elevato Ghali e Dargen all’incirca a segretari del Pd, nella certezza che tra due settimane ci saranno altri due o tre nuovi segretari  scovati magari in qualche fiction della Rai o al Festival di Castrocaro, ci rassicurano: tutto infatti cambia in questo mondo di mutamenti, si sciolgono i ghiacciai, si alterano le stagioni, ma comunque sia sappiamo che domani ritroveremo la sinistra tra un appello alla pace, una manifestazione contro il bavaglio, un augurio antifascista e un nuovo eroe, anzi un messia, da investire suo malgrado con l’evocazione di un’inquietudine destinata a sciogliersi nella più viva speranza di un’era felice. Come prima a Carola Rackete, al papà di Elena Cecchettin, come poi a Zerocalcare, come adesso a Dargen e Ghali, al nuovo eroe faranno dei complimenti smaccati e delle copertine di giornale: lui per noi è un faro, io segretamente lo chiamo mamma, senza di lui la vita che sarebbe? La bontà, l’amore, la giustizia, la pace dove erano prima che lui nascesse? Fino all’innamoramento successivo, sino al prossimo messia.

D’altra parte, nei momenti di passaggio e di crisi, lo spirito, se non soffia dove vuole, si rifugia dove può. E il messia non è mai per l’oggi, e nemmeno per il domani, anzi se ne fa uno al giorno o uno al mese (se non a settimana). E  ciò nonostante, forse proprio per questo, un popolo vinto e derelitto qual è quello dei partiti della sinistra italiana  lo vive come l’annunciato, l’atteso, l’unto. Anche se quello poi, in realtà, sotto sotto, vuole soltanto vendere dei dischi, dei film, dei libri o dei fumetti.
 

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.