Comunismo e volgarité

Luciano Capone

Le stizzite risposte sull'anticomunismo di Augias e Berlinguer sono uguali a quelle di destra sull'antifascismo

Era davvero difficile immaginare che l’imbarazzante performance del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano che ruba il microfono a un giornalista per ribaltargli la domanda – una scena analoga a quella di un paziente che si alza dal lettino e sottrae il bisturi al chirurgo per fare una contro operazione – ottenesse però l’effetto di far emergere gli imbarazzi e i balbettii di sinistra sul comunismo. “Si sente un po’ antifascista?”, chiede il giornalista a Sangiuliano. Il ministro risponde in maniera irritata, dando dell’ignorante al giornalista, e poi gli toglie il microfono e inizia a interrogare tutti: “Io sono antifascista, ma lei si sente anticomunista? E lei? E lei?”. Tutti rispondono affermativamente, senza l’irritazione che la domanda sull’antifascismo provoca agli esponenti del governo, rendendo la scena del ministro un po’ ridicola.

 

Nei salotti televisivi, però, la domanda suscita imbarazzo in chi la riceve. Non dovrebbero esserci molti dubbi, al netto della risoluzione del Parlamento europeo approvata a maggioranza trasversale che condanna i crimini del nazifascismo e del comunismo, sul tributo di sangue miseria e libertà pagato dall’Europa al totalitarismo sovietico e dal resto del mondo ai regimi comunisti nelle varie declinazioni. Ma non è propriamente così.

  

Quando su La7 Giovanni Floris, facendosi Sangiuliano per qualche minuto, chiede a un grande giornalista come Corrado Augias se si senta anticomunista, la risposta è sì affermativa, ma seguita da una lunga spiegazione sui suoi punti di riferimento liberal-democratici Gobetti-Matteotti-Gramsci (sì, Gramsci, segretario generale del bolscevico Pcd’I, sarebbe un lib-dem) per concludere che la “domanda non ha senso”, in quanto in Italia c’è stato il fascismo ma non c’è stato il comunismo, e quindi chiedere a qualcuno se è anticomunista è “una volgarità”.

 

In contemporanea, nel talk-show concorrente su Rete 4, a un’analoga domanda posta da Alessandro Sallusti, Gad Lerner e Bianca Berlinguer non solo rispondono negativamente ma aggiungono che è “una domanda sgradevole”. La figlia di Enrico Berlinguer, che ha preso la domanda come una provocazione personale, ha risposto che “la storia del Pci è molto diversa dal quella del Partito comunista sovietico” e che “il Pci ha preso le distanze da quello sovietico molti molti anni fa, condannandolo esplicitamente, da dopo il ’56 al ’69 e l’ha fatto il suo segretario che era mio padre”.

 

Il dibattito dei talk-show, che è costruito appositamente per alimentare contrasti tra tifoserie, non è esattamente il posto più adeguato per un approfondimento storico. Ma è evidente che la rapida ricostruzione storica di Bianca Berlinguer contiene alcune imprecisioni: sicuramente la storia del Pci è diversa da quella del Pcus, ma i due partiti fanno parte inesorabilmente della stessa storia – visto che uno è nato come la succursale dell’altro – che parte dalla rivoluzione bolscevica e si conclude con la caduta del muro di Berlino. È anche leggermente scorretto dire che il Pci ha preso le distanze dall’Urss, condannandola esplicitamente “dopo il ’56”. Tralasciando la pagina nera dell’Ungheria, il Pci ha continuato a prendere soldi dall’Unione sovietica per tutti gli anni ’70 – anche quando il segretario era Berlinguer.

 

Ma al netto delle imprecisioni e delle ricostruzioni più o meno interessate, sono interessanti le argomentazioni che portano a definire la domanda sull’anticomunismo “volgare” e “sgradevole”. Perché, paradossalmente, sono simili ai ragionamenti che provengono da destra quando si chiede professione di antifascismo.

 

L’argomentazione di Augias secondo cui non ha senso dirsi “anticomunisti” perché in Italia c’è stato il fascismo e non il comunismo è quasi sovranista. Chiude nei confini della Nazione una tragedia che ha riguardato tutta l’Europa, in particolare quella dell’est che è parte comune dell’Unione europea, come se fosse una storia solo loro. È una risposta, questa sì, che “non ha senso” per chi si professa europeista e liberaldemocratico. Perché vuol dire non aver compreso che, per l’Europa liberale e democratica, il 1989 è stato il secondo tempo del 1945.

 

L’argomentazione di Berlinguer, che non si definisce anticomunista perché “il Pci ha preso le distanza molti anni fa dall’Unione sovietica”, ricorda il classico atteggiamento di Giorgia Meloni che evita di dirsi antifascista perché “la destra ha fatto i conti con il fascismo molti anni fa a Fiuggi”. Quando si riuscirà a rispondere semplicemente “sì”, le domande su antifascismo e anticomunismo non saranno più ritenute provocazioni o volgarità perché, banalmente, non ci sarà più bisogno di farle.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali