Lega

La resistenza di Salvini. Lotta ancora per la Sardegna con Meloni (e pure con il Corriere di Cairo)

Carmelo Caruso

Si incontra con Meloni e Tajani ma sulle regionali manca ancora l'accordo. Si accelera sul terzo mandato. E a distanza si punzecchia con l'editore perchè troppo "meloniano"

Per non perdere la faccia si sono dati un bacio. Di Giuda. Meloni-Salvini-Tajani si sono incontrati, a Palazzo Chigi, per (non) parlare di Sardegna. A Solinas, della Lega, viene ancora preferito Truzzu di FdI, sindaco di Cagliari. Salvini accelera sul terzo mandato ma è ancora un disegno di legge. Come finirà è tutto da vedere. Sarebbe la “compensazione” per la Lega. Per Tajani c’ è puzza di bruciato.  Salvini vuole portargli  via la Basilicata. Il leader del Carroccio chiede adesso un “sacrificio” ai suoi parlamentari. Li ha convocati. Se i governatori non corrono, alle europee, e non corrono,   possono farlo i migliori di loro. I big sono Borghi, Molinari, Romeo, Durigon. La casa brucia, devono portare il secchio.


Si vedono ma smentiscono che hanno parlato di regionali e pranzato insieme. A Meloni, Salvini e Tajani ieri è andato di traverso il pane carasau. A metà pomeriggio viene infatti rettificata, dallo staff di Meloni e Salvini, la notizia di un pranzo tra i leader. Viene confermata solo la riunione, insieme al ministro dell’Interno, Piantedosi, con argomento i migranti. I giornalisti sotto Palazzo Chigi: “Ci stanno prendendo per il naso”. Alla Camera, dalle parti di Forza Italia, significa “che Salvini si oppone ancora e non molla la Sardegna”. La perdita della Sardegna è pesante. Andrea Crippa, il vicesegretario della Lega, ai cronisti sparsi, dice che “la Lega è leale ma non è schiava”. Non c’è l’accordo ma neppure l’armonia. Un episodio simbolico dello stato d’animo della Lega si è verificato a Venezia. Ogni fine anno viene organizzata una cena tra consiglieri regionali leghisti. Quest’anno per la prima volta è saltata. Nessuno voleva brindare al nuovo anno. Flavio Tosi, ex sindaco di Verona, oggi in Forza Italia, setaccia ormai il Veneto casa per casa come fosse in campagna elettorale. Un altro episodio. L’unico congresso regionale della Lega che non è stato ancora celebrato (gli altri sì) è quello lombardo. Il candidato era per tutti il capogruppo del Senato Massimiliano Romeo. Lo aveva confermato pure lui, pochi mesi fa, a Milano, che, se serviva, “non si sarebbe tirato indietro”. Se non si è tirato indietro, e non si è tirato, è evidente che sia  accaduto qualcosa. Salvini non è convinto. Sono episodi minori ma che raccontano un clima. La premier deve ora valutare, con attenzione,  la sua eventuale candidatura alle europee. L’ex premier Giuseppe Conte dice al Foglio che “se Meloni dovesse candidarsi aprirà una crisi irreversibile della sua maggioranza, con i suoi alleati”. Se con Meloni non può vincere, Salvini può pur sempre farla perdere. Questa è l’opinione dei parlamentari leghisti su Truzzu, sindaco di Cagliari che Meloni vuole in Sardegna: “Sta in fondo alla classifica dei sindaci più amati. Perderà”. Il leader della Lega si deve difendere e vuole farlo nel modo antico: la tattica parlamentare. Anche nel suo cerchio stretto gli viene  ricordato che quando occorre si può stare dentro e fuori dal governo. E’ una specie di appoggio esterno. E’ un paradosso ma il governo può fare perdere la destra, e la testa. Alle regionali sarde, ad esempio, verrebbe a mancare il sostegno di Solinas e del suo partito sardo d’Azione. La Lega, offesa, non avrebbe ragione di impegnarsi. A dirla tutta, chi vuole bene a Salvini gli suggerisce di “iniziare a rompere le scatole ovunque, come faceva FdI con noi”. Cagliari come Hanoi. La decisione di Salvini, non candidarsi, non gli consente di insistere sui governatori. Come può un capo dire “combattete!” senza però stare a cavallo? E’ come viaggiare contromano, all’inglese. Mancano 150 giorni alle europee. Quelli che illusero Napoleone di poter tornare ancora Napoleone furono cento. Salvini ne ha ancora cinquanta, in più. Lo hanno sentito lamentarsi pure del Corriere della Sera. Secondo il vicepremier sarebbe eccessivamente schiacciato su Meloni. Da due giorni  c’è una disputa, a distanza, che riguarda l’editore Cairo e Salvini. Cairo, che è anche il presidente del Torino, ha dichiarato che “sembra quasi ci sia una volontà, da parte del governo, di affossare il calcio. Incredibile”. Faceva riferimento all’abolizione del decreto crescita che colpisce le squadre di calcio. Salvini era stato il primo a definirlo un “decreto immorale”. Sempre Cairo, ospite a Un giorno da Pecora ha mandato a dire a Salvini che “nel momento in cui hai la possibilità di portare in Italia dei campioni che pagano le tasse non capisco che modo di ragionare sia questo”. Ha rivelato pure che, in passato, sempre Salvini, gli avrebbe proposto la candidatura a sindaco di Milano, candidatura che oggi non è più impossibile (ha risposto: “Fare il sindaco? Perché no? Milano è  la mia città”) prima di precisare che, a quel tempo, “a malincuore ho rinunciato ma non so neanche se sarei stato adatto a farlo con Salvini”. Come ha ben detto Salvini ai parlamentari, che ha riunito, ieri mattina, precisando che non candiderà Palamara, Paragone, “come immaginate, se ne dicono, e se ne scrivono tante”. Del resto è stato pure lui giornalista, leader, segretario, ministro. E’ stato, ed è, tante cose. Un leghista ricorda che è stato pure un fervente cattolico. Tra centocinquanta giorni scoprirà davvero se la resurrezione è solo la tenera promessa dei preti.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio