Lega e governo

Salvini si fa il tridente per le Europee. In lista vuole Vannacci-Paragone-Palamara

Carmelo Caruso

Annuncia che non corre. Pure i governatori si tirano indietro. In Sardegna è sempre stallo. Meloni insiste su Truzzu. L'idea di inserire un pecetta che riguarda il terzo mandato all'interno della riforma sull'autonomia

Salvini ora legge Simenon. E’ il segretario che guarda passare  Meloni. Non si candida alle europee. Lei sì. Al posto di Salvini  tre. Oltre al generale Vannacci, che ringrazia e riflette sull’eventuale candidatura, è pronto a correre un leghista di ritorno. E’ Gianluigi Paragone, già direttore della Padania, inventore del programma “La Gabbia”, ex senatore del M5s, fondatore di ItaliExit, movimento che ha lasciato. Si dovrebbe candidare nel nord ovest. Il terzo sarebbe l’ex magistrato Luca Palamara che ha scoperchiato il “Sistema” marcio della magistratura. I governatori non corrono. Salvini prometterà il paradiso catodico: l’abolizione del canone Rai. In Sardegna il governo mangia intanto la sua carne come Ugolino con  i figli.


 Salvini fa dunque lo spettatore ma pure l’avvocato, il garantista, di Chiara Ferragni. La mancata candidatura del segretario ha il dritto come il suo rovescio. Il dritto: se non corre, Salvini non si pesa con Meloni. Il rovescio: se non si candida Salvini, perché dovrebbero farlo i governatori, Zaia, Fedriga e Fontana? I governatori per la stessa ragione di Salvini declinano adesso la candidatura simbolica alle Europee. Il timore dei leghisti è che se Meloni dovesse gareggiare, superare il trenta per cento, farà ostaggi. Sono di fatto prove di partito totale. Lunedì sera, ospite di Nicola Porro, a “Quarta Repubblica”, su Rete 4, il leader della Lega ha annunciato che lui, a differenza di Meloni, non vuole correre perché “continuo a fare il ministro”. La mattina di martedì, in radio, a Rtl 102,5, parlava come Marco Pannella. A chi gli chiedeva di  Ferragni, indagata per il caso pandoro, dileggiata dalla premier  ad Atreju, Salvini replicava: “Il problema dell’Italia non è  Ferragni. L’accanimento e la cattiveria di questi giorni mi lasciano sconcertato”. In FdI sono convinti che Salvini stia per “abbassare le pretese” almeno sulle regionali. Sulla Sardegna siamo alla sceneggiata. Il candidato di FdI è sempre Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari. Quello di Salvini resta Solinas. Si è riunito un altro tavolo locale e la Lega voleva segare una gamba quando ha scoperto che per Meloni la Dc di Rotondi pesa quanto la Lega. Meloni ama l’aritmetica. Ha un metodo nuovo per stabilire le candidature. Invita tutte le sigle del centrodestra a sedersi. Funziona così. Lo racconta chi a questi tavoli ci partecipa: “C’è la sigla di Barca Bertulla, i Riformatori al peperoncino. Alla fine si fa la somma per Meloni. Ovviamente con questo metodo ogni regione avrà un Truzzu della premier”. Così non funziona”. C’è un precedente che la Lega cita come esempio. Sono le regionali della Puglia. Raffaele Fitto, oggi ministro, perse contro Emiliano: “Era il migliore di loro ma non è bastato”. Al momento, per risolvere il caso Sardegna, non è fissata una riunione tra leader. Maurizio Gasparri, che ha alle spalle quarant’anni di “truzzismi”, di scaramucce, dice che “sulla Sardegna la situazione è la solita e,  in questi casi, la prima cosa da fare è non peggiorarla”. Giovanni Donzelli di FdI garantisce che come sempre, anche questa volta, si “troverà la soluzione, una soluzione pacifica”. E’ pacifico che il candidato sia il suo, di FdI. Sembra tramontato pure lo scambio Sardegna e Basilicata, tra Lega e Forza Italia. L’idea: Pittalis, di FI, candidato in Sardegna, Pepe, della Lega, in Basilicata. Ieri alla Camera sono ripresi i lavori. Oggi, il ministro della Difesa, Crosetto, comunicherà in Aula sull’ulteriore invio di armi in Ucraina. La Lega promette che non ci saranno strappi. Il segretario della Liga veneta, Alberto Stefani: “Voteremo compatti”. Sta nascendo un’alleanza al contrario, per dirla alla Vannacci, tra Lega e Pd, sul terzo mandato, abuso d’ufficio, e anche questo è segno del tempo. L’estero della Lega ormai è Venezia. Il terzo mandato ha sostituito l’autonomia. In Veneto, tra i consiglieri regionali, la minaccia è che se Salvini non “lo ottiene, dopo le Europee, non potrà presentarsi qui. Lasciare a Meloni il campo, non candidarsi, rischia di essere una resa”. Non c’è cattiveria, è solo Darwin, sopravvivenza. La Lega vive un momento difficilissimo. Alle prossime regionali, in Veneto, senza la lista Zaia, rischia di scendere da 33 consiglieri a 7. Le regioni a statuto speciale possono  modificare gli statuti e moltiplicare il numero dei mandati, quelle a statuto ordinario, no. I tecnici della Lega starebbero pensando, oltre a un ddl, di intervenire all’interno della riforma sull’autonomia. Una modifica potrebbe essere inserita nel pacchetto che riguarda le competenze degli enti locali. Alla Lega, il partito del dito medio, resta ora la tattica. Tutta la campagna per le europee Salvini intende farla contro la Rai, il suo canone. Libera nos a Pino Insegno è il nuovo “Prima gli italiani”.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio