il caso

Salvini, Nardella o Brunelleschi? L'immobilità di Firenze specchio d'Italia 

Maurizio Crippa

Lo scontro tra il ministro leghista e il sindaco che se la prende pure con il direttore degli Uffizi. La città tra cultura, politica e storia, illuminati da un noir di Doninelli

Firenze la nera (ops!), Firenze la rossa (ancora?). O Firenze ingrigita, come la pietra serena del suo Marzocco al Bargello, tra troppa politica e troppa cultura. E un medagliere di storia tanto luccicante e ingombrante da non poterlo più indossare. Ciò che è di Firenze vale solo per lei, ma Firenze è anche il simbolo perfetto di un’impossibilità a essere, a cambiare, molto italiano. Il prossimo 3 dicembre Salvini con tanto di Marine Le Pen vuole fare passerella dell’Europa nera nella città del Giglio, e mai location fu più sballata. Ma poi che importa? Se ne andranno come i “bisonti-turisti” che alzano polvere sulle strade di pietra antica. Solo che Nardella, il sindaco uscente, anzi già ai saluti, è pronto alle barricate come il partigiano Potente: “Se vengono a Firenze, Firenze si faccia sentire”. Ma Nardella al momento ha da pensare a difendersi da un altro avversario (anche lui ai saluti) che però non perde occasione di prendere a ceffoni il primo cittadino: il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt. Gli ha rinfacciato più volte la città sporca e insicura, tanto che qualcuno vagheggiò di candidarlo sindaco (a destra). Poi lunghe polemiche perché Schmidt attivò un servizio di guardia armata anti vandali nel museo. Fascismo culturale, gli dissero. Però ora Nardella ha deciso di seguire la stessa idea e assumere guardie giurate armate per tutelare la città di notte: “Faccio i complimenti al sindaco. Benvenuto nella realtà”. 


Gli è che Schmidt, che tanti fiorentini detestano per essere stato un ingombrante novatore, non perde occasione per far imbufalire il mondo piccolo e antico ma tignoso della cultura cittadina: “Ho reso gli Uffizi pop”, ha detto ieri al Corriere rivendicando pure la scelta, che provocò malori ai culturali, di instagrammare Chiara Ferragni davanti a Botticelli. Politica o cultura, il tema di Firenze eternamente divisa tra chi vorrebbe cambiarla, farne una capitale globale e  smart, e chi vorrebbe preservarla com’è, pietra su pietra. Le pietre e il popolo, del resto, sono uno slogan caro A Tomaso Montanari, accademico conservazionista, fiorentino in trasferta, che qualcuno non sgradirebbe vedere sindaco. Uno specchio dell’Italia, incomprensibile. O forse sì: ma per capirci qualcosa è meglio abbandonare la cronachetta e passare alla letteratura, che ne sa sempre di più.


Per capire Firenze, e un po’ l’Italia, in bene e in male, ma anche un po’ della instabile condizione umana quando è costretta a misurarsi con la Storia, la Bellezza e l’Arte (insomma: con Firenze) c’è un romanzo raffinato e pieno di indizi, sotto mentite spoglie pop, autore Luca Doninelli, scrittore milanese ma anche molto fiorentino.  Che ha voluto, con gusto e una profusione di chiavi di lettura, travestire da noir (nero), da thriller o da gioco letterario un bel ritratto della sua Firenze, la città più bella del mondo. “Nero fiorentino” (Bompiani) non parla di tutto quello di cui sopra, o forse anche sì, giudichi il lettore. Parla di Firenze (con una topografia di innamorato conoscitore, di uno che l’ha percorsa a piedi, e di notte) e del suo irrisolvibile enigma. Tra storia e modernità. Il plot inizia nel 2010, da un dissesto idrologico inquietante e dal ritrovamento fortuito di due tavole, credute perdute, che Ser Filippo Brunelleschi usò per scoprire e determinare i segreti della prospettiva: il segreto stesso della conoscenza del mondo, la sua nuova e definitiva creazione. Spariscono immediatamente le tavole, inseguite da un fiume di misteri e omicidi e confuse  tra altri fatti minori e paesaggi di malinconia. Ma resta il cuore della città. Un vecchio e onnipotente Ingegnere, che di cognome fa Lombardi ma di nome Faliero, come il doge veneziano giustiziato per alto tradimento; critici d’arte e storici, turisti-bisonti, cinesi che tutto sanno e tutto comprerebbero, modernizzatori che vogliono fare di Firenze la nuova capitale del mondo. Altro che Expo, altro che Olimpiadi: un concorso, in onore del genio che creò la realtà stessa del Rinascimento e di cui tutti inseguono le misteriose tavole, per realizzare finalmente una facciata per San Lorenzo, che ne è priva. Viuzze e colline ferme nei secoli, tristezze taciute di una società chiusa e stanca; la lotta sorda, mai dichiarata probabilmente da nessuno né da nessuno compresa, per conservare Firenze splendente del suo passato remoto e dei suoi segreti, o trasformarla in un format digitale dove il rendering di una archistar si mescola a un concerto di Lang Lang a piazza dell’Annunziata in mondovisione. Ma che forse non vale come la casa e la viuzza in cui aveva vissuto Mario Luzi. Brunelleschi incombe, introvabile, inconoscibile, tra beauty contest a lui dedicati e un disincantato sguardo su un presente mediocre ed enigmatico come ogni vita.



Nessuno ha prove della fine delle tavole e del perché e per come di eventi e delitti. Esattamente come noi non abbiamo nessuna prova che Doninelli col suo romanzo noir (c’è l’ex sindaco di Firenze che in vecchiaia è diventato un grande lettore di gialli, per il bisogno “che almeno nella fantasia ci fosse qualcuno che sbrogliasse i fili”) volesse occuparsi di tutto questo. E non invece della maledizione dei padri (ce n’è) o di rendere un omaggio pensieroso alla città più bella del mondo e ai dubbi dell’Arte. E a Ser Filippo, che del resto era maestro anche di burle. Di certo la letteratura, quando fa il suo, capisce meglio della cronaca e della politica lo stato delle cose.  Ad esempio che Firenze, nella sua indecisione ingovernabile, è lo specchio dell’Italia. E magari è perfetta così.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"