(foto Ansa)

I sindaci della crescita -2 . Viaggio a puntate sulla A4 (e dintorni)

La sinistra non deve aver paura di dire “crescita”. Parla Giorgio Gori

Marianna Rizzini

"Senza crescita non c'è redistribuzione, non c'è inclusione e non c'è tutela per i più deboli. La distanza dei ceti popolari dalla sinistra doveva e deve essere ricucita". Colloquio con il sindaco di Bergamo

Le immagini di tre anni fa – il Covid, le bare, il lockdown, le serrande abbassate – sembrano lontane, ma il sindaco pd di Bergamo Giorgio Gori non le ha dimenticate. Dopo l’emergenza pandemica e una prima ripresa sono arrivate la guerra e l’inflazione, facendo riemergere problemi strutturali mai davvero risolti. Problemi che ora, dice Gori, grazie ai fondi europei targati Pnrr, “abbiamo l’occasione irripetibile di affrontare, un’occasione unica negli ultimi decenni. Non possiamo sprecarla”. Il sindaco di Bergamo sostiene che la sinistra, e il Pd in primo luogo, debba in questa fase provare a comporre un’agenda delle cose da fare, ricercando anche alla scala nazionale una nuova sintonia e un’alleanza con i ceti produttivi, gli stessi che da Bergamo a tante città del nord Italia — lungo la linea dell’autostrada A4 e delle sue derivate, attraversando le aree più dinamiche del paese — hanno  in questi casi eletto e spesso riconfermato sindaci del Pd o sostenuti dal Pd. “Dobbiamo parlare di crescita, non dobbiamo avere paura di farlo”, dice Gori, “perché senza crescita non c’è redistribuzione, non c’è inclusione e non c’è tutela per i più deboli. E perché la destra un’idea di crescita non ce l’ha. Dopo le ultime sconfitte elettorali era giusto e necessario riorientare la nostra bussola verso i ceti più fragili che negli anni precedenti, in una condizione di forte incertezza, hanno creduto alle promesse di chiusura e di protezione della destra populista. La distanza dei ceti popolari dalla sinistra doveva e deve essere ricucita. Al tempo stesso, di fronte a una destra costretta a rimangiarsi le sue promesse, sbaglieremmo se però dimenticassimo che la condizione dei ceti più fragili può migliorare soltanto in una condizione di crescita inclusiva”.

 

Una crescita che, dice Gori, citando “La sfida delle diseguaglianze-contro il declino della sinistra”, libro di Carlo Trigilia (ed.Mulino), “nel nostro paese è mancata negli ultimi decenni, mentre aumentavano le disuguaglianze, a differenza di altri paesi europei caratterizzati da alta crescita e alto grado di inclusione sociale. C’è quindi un tema di sviluppo e redistribuzione, e il Pd può e deve farlo suo”. In questo quadro, il salario minimo è uno strumento necessario per combattere lo sfruttamento estremo, dice il sindaco di Bergamo, “ed è giusto che il Pd si intesti la proposta, ma non basta: sono i salari nel loro insieme che sono rimasti al palo, e dobbiamo chiederci perché. La risposta è nel fatto che il nostro paese non cresce perché la produttività, in particolare, è rimasta in questi anni stagnante. E’ su questo punto che dobbiamo provare a costruire un’alleanza tra imprese, politica e rappresentanze dei lavoratori. Solo affrontando questo gap l’Italia potrà uscire dalla palude del debito in cui si trova, con tante cose da fare e pochissimi soldi per farle. Per questo, insisto, gli investimenti e le riforme del Pnrr sono fondamentali; per le infrastrutture, la digitalizzazione e la modernizzazione complessiva del paese”. Un altro fronte su cui ceti produttivi e sinistra possono trovare un’intesa – ed è un fatto non scontato —  è quello dell’immigrazione.

 

“Mentre per la destra l’immigrazione rimane un’emergenza, un danno da limitare, proprio dal mondo delle imprese arrivano appelli a una gestione diversa: c’è bisogno non soltanto di lavoratori, e quindi di immigrazione legale ben gestita, ma anche di lavoratori che, arrivando in Italia, trovino un sistema di supporto che permetta davvero l’integrazione, altro fattore di crescita. In questa ottica dovremmo affrontare anche il tema dell’immigrazione qualificata, di cui c’è grande bisogno”. Anche sulle tasse sinistra e ceti produttivi possono andare d’accordo. “Non per aumentarle – dice Gori – ma per riequilibrare un sistema fiscale che grava troppo sul lavoro e troppo poco sui patrimoni, con un carico contributivo che è dieci punti sopra la media Ocse. Un maggiore equilibrio sarebbe visto di buon occhio non solo dai lavoratori, ma innanzitutto dalle imprese, che faticano a essere competitive con la zavorra che si trovano sulle spalle”.

 

Spesso si ha paura, a sinistra, di fare proprie parole che piacciono anche ai ceti produttivi, forse temendo di perdere consensi presso un elettorato che si teme volubile e sensibile ai populismi. Su scala territoriale, guardando la realtà di Bergamo,  “l’esperienza ci dice che la dimensione della crescita e quella della coesione sociale debbono andare di pari passo. Ci sono evidenze che questo è ugualmente possibile alla scala regionale, penso al modello Emilia-Romagna, dove si dimostra che si può perseguire lo sviluppo economico e il benessere facendo della coesione sociale un fattore competitivo; fino al piano nazionale, per un’Italia capace di ricollocarsi nello scacchiere della globalizzazione: non più paese costretto a competere sul costo, e a comprimere per questo il valore del lavoro, ma in grado di posizionarsi sulla via alta della competitività. Io non credo che la destra abbia questa visione, noi sì. Su questo terreno possiamo costruire le alleanze necessarie per tornare al governo del paese”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.