"Mi piacerebbe vedere Draghi ai vertici dell'Europa". Parla Calenda

Valerio Valentini

Gli attacchi di Gentiloni? "Meloni sa che sta fallendo, e cerca capri espiatori". Renzi? "Vuole allearsi con chi vince. Noi riformatori, non centristi". Il Pd? "Schlein cerca di recuperare voti al M5s. Apprezzabile, ma noi siamo altro, e molti dem vengono da noi". E poi l'ex capo della Bce: "L'Italia e l'Ue hanno bisogno della sua autorevolezza. Lo vedrei bene presidente della Commissione o del Consiglio". Intervista al leader di Azione

Chissà se sono provocazioni estive o se ci pensa davvero, sta di fatto che ha due idee per la testa. “La prima è una tentazione. Mi piacerebbe andare da un notaio, mettere nero su bianco che per un mese sarò altro da me, e mettermi a fare il ghost writer di Giorgia Meloni”. Ci si vede, in quei panni, Carlo Calenda. “Sarebbe facilissimo. Prossimo obiettivo: i ‘clandestini’ e l’Europa matrigna che ci abbandona sui migranti. E poi, a seconda di quello che offre la cronaca, del caso più eclatante pompato da una di quelle trasmissioni  che tanto piacciono ai sovranisti, passare al prossimo tema. Sintonizzarsi, insomma, con la burinaggine del paese”.

E’ in questa strategia che s’iscrive, dice il leader di Azione, anche l’offensiva della premier e dei suoi vice contro Paolo Gentiloni. “Un’offensiva sbracata, perché Paolo sta facendo un gran lavoro a Bruxelles. Ma del resto, la campagna elettorale va così: ogni volta bisogna gridare contro l’Europa, aizzare la cagnara, dire che la pacchia è finita. Poi si va al governo e si diventa tutte copie sbiadite di Forlani. Tutto già visto”. E però in questo eterno ritorno dell’uguale, quel che viene meno è la credibilità del paese. O no? “Certo. Ma al governo serve un capro espiatorio. Perché la legge di Bilancio sconfesserà tutte le mirabolanti promesse fatte. Perché sul Patto di stabilità Meloni e Giorgetti non porteranno a casa granché. Perché il Pnrr arranca. E a breve bisognerà ratificare il Mes. Dunque: dagli a Gentiloni”. 

Ed è qui che si manifesta l’altra idea, questa forse meno bizzarra, che alimenta la fantasia di Calenda. “La mia convinzione è che si debba fare di tutto per promuovere Mario Draghi alla presidenza della Commissione europea, o del Consiglio europeo. Sarebbe un modo per riaffermare una certa credibilità dell’Italia, ma a giovarne sarebbe il prestigio dell’Unione tutta”. E sì che c’era chi credeva che il sogno inconfessato di Calenda fosse rivederlo a Palazzo Chigi, Draghi. O magari al Quirinale. “Uno come lui – spiega l’ex ministro dello Sviluppo – farebbe benissimo anche da capo dello stato, ci mancherebbe. E io credo che, con una Meloni in così crescente affanno sui dossier strategici, e in una congiunzione economica e internazionale complicata, a breve il tema di come garantire il governo efficiente del paese si porrà. Ma l’ideale sarebbe vedere Draghi al posto che oggi occupa Charles Michel, che io lo ricordo più che altro per le sue gaffe, o al posto di Ursula von der Leyen, che pure ha ben operato, ma che certo non ha la stessa statura internazionale che l’ex premier ha dimostrato, negli anni, sul salvataggio dell’euro, sulla gestione della pandemia e sulla crisi ucraina”.

Un appello a Meloni, dunque: proponiamolo insieme? Dice che le piacerebbe l’idea? “Non nego lo sforzo di Meloni nel ripudiare le sue posizioni più assurde. Sul tema della prudenza sui conti pubblici, la sua trasformazione è notevole. Ma è una transizione ancora incerta, e con la campagna elettorale la vedremo, temo, regredire su posizioni sovraniste e populiste”. Dunque? “Dunque non è il momento di fare queste proposte. Teniamo fuori Draghi dal dibattito. Il mio, al momento, è più un auspicio”.

Che però dà un senso alla campagna elettorale che attende Azione? “Certo, nella misura è proprio quel ‘metodo’ che noi cerchiamo di riproporre. Un grande partito repubblicano, non banalmente centrista ma riformatore, che compete nell’area afferente a Renew insieme, spero, agli amici liberaldemocratici e a quelli di +Europa”. Ma come eludere, a questo punto, il tema? “Renzi?”. Renzi. “Matteo ha un’altra idea. Lui vuole fare un cartello elettorale di centro che di volta in volta si allea con chi vince. Ma sempre, s’intende, in nome di un’alta ragione ideale. Nella migliore tradizione italiana. Anche per questo il partito unico non ha mai voluto farlo davvero. Il suo obiettivo era di arrivare alle europee e poi tenersi le mani libere per entrare in maggioranza e sostenere un governo senza più Meloni alla guida. Ma gli è andata male”. 

Oltre, Renzi, poi c’è quel “campo largo” in cui forse anche Azione, se si pensa alla battaglia comune sul salario minimo, pare voler entrare. “Assolutamente no. Il salario minimo è una battaglia sacrosanta ispirata dalla Costituzione, non certo dal blog di Grillo. Quanto al Pd, io credo che Elly Schlein stia facendo un meritevole lavoro nel promuovere un confronto serrato col M5s, per recuperare attrazione e voti nell’area del grillismo. Più che una collaborazione, che a me pare impossibile vista la distanza che c’è su temi decisivi come quello della guerra in Ucraina, si tratta di una competizione. E io, se proprio devo dire, spero che a vincerla sia il Pd, perché almeno è un partito di gente seria, che ha cultura di governo. Del resto è dall’epoca del Conte II che al Nazareno hanno quella missione: pas d’ennemis à gauche. Rispettabilissimo”.

Però? “Però è evidente che questa dinamica porta il partito a spostarsi nettamente a sinistra, ed è normale che tanti dirigenti, militanti ed elettori dell’area popolare e lib-dem che hanno votato il Pd nel recente passato guardino altrove. Non a caso sono proprio queste le ragioni che hanno spinto, nelle scorse ore, più di trenta esponenti del Pd ligure a venire con noi in Azione. Gente seria, come il consigliere regionale Pippo Rossetti o come Cristina Lodi, la più votata alle ultime comunali di Genova”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.