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Il racconto

Meloni sbarca a Caivano, fiction dell'ennesima Gomorra. "Ma da venerdì che succede?"

Simone Canettieri

La premier oggi al Parco Verde. La disillusione dei residenti, la battaglia del prete di frontiera. Cartoline dal sud del mondo

Caivano, dal nostro inviato. “Siamo diciassette, dovremmo essere sessanta. La metà di noi era in ferie: siamo stati tutti richiamati. Altrimenti – dice il luogotenente Gennaro Fatone – come si fa a chiudere le strade quando arriva Giorgia?”. A Caivano, periferia delle periferie, ma anche luogo comune di tutti i buchi neri d’Italia, fervono i preparativi. E tutti interpretano una parte. I vigili, certo. Ma anche le forze dell’ordine che presidiano ogni angolo del Parco Verde, il quartiere Gomorra (per banale scorciatoia semantica).  Don Maurizio Patriciello, ci ha appena rilasciato una benedetta intervista davanti all’altare. E c’è la fila di telecamere e microfoni per avere un titolo dal prete anti camorra che si porta dietro una discreta burocrazia di indignati permanenti. Oggi alle 12 Giorgia Meloni sarà qui. Andrà all’Istituto “Francesco Morano” al Parco Verde, dopo il caso delle  cuginette violentate dal branco nel centro sportivo abbandonato. Tutto si tiene.


Come le minacce via Facebook che ha ricevuto la premier da una signora di Caserta per via dello stop al reddito di cittadinanza, manna dal cielo grillino rimpianta. Con pioggia di solidarietà bipartisan, la vigilia si nutre anche di questo. In uno spartito geometricamente quasi già scritto. Meloni: “Questo governo non farà passi indietro nella lotta alla criminalità organizzata”. E così per oggi è previsto un comitato per l’ordine e la sicurezza nella scuola superiore dove, racconta Anna, un’insegnante, “abbiamo paura a sospendere i ragazzi perché temiamo la reazione dei genitori”. Il Parco Verde di verde non ha nulla, se non le case dai colori pastello grattugiate dall’incuria e le vedette che adesso se ne stanno a casa perché non è ora di fare business. Meloni sarà accompagnata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, da quello dello sport Andrea Abodi e da quello della Scuola Giuseppe Valditara. Presto arriveranno più forze dell’ordine, il centro sportivo degli orrori sarà bonificato con una palestra della legalità gestita dalla Finanza (esperimento già visto a Roma, a San Basilio, altro luogo comune dei buchi neri) e poi sicuramente sarà incrementata da una maggiore offerta di formazione. Siamo a una decina di chilometri da Napoli e altrettanti da Caserta.

Il fattaccio sarebbe potuto accadere ovunque in questa distesa di niente, puntellata da società civile e dignitose imprese con famiglie che si spaccano la schiena. E quindi poteva essere Arzano, quella di “Io speriamo che me la cavo”, ma magari anche Afragola, Fratta Maggiore o Aversa. “La periferia è un’astrazione, un luogo che non c’è, acceso dalle telecamere quando accade un fattaccio. L’Italia è piena di Caivano”, dice Marino Niola, antropologo e giornalista da sempre con lo sguardo rivolto al Mezzogiorno. Questa sarebbe anche la famigerata Terra dei fuochi, altro cortocircuito mediatico, sollevato da don Patriciello. “Peccato che alla fine si scoprì che gli sversamenti nelle coltivazioni riguardarono solo l’uno per cento del territorio campano, peccato che il danno d’immagine fu enorme per tutta la regione e per un’intera classe dirigente”, dice ancor Niola. Al Roseto Park Hotel, unica struttura in un comune di quarantamila anime, sono abbastanza realisti. “Ennesima passerella”, spiegano dalla reception dove campeggia un cartello con una scritta mai vista: “La direzione declina ogni responsabilità per l’utilizzo dei fuochi d’artificio”. Si capisce perché alla fine – più di Meloni, Conte, Renzi e tutti gli altri – l’unico  big a cui chiedere una grazia sia Diego Armando Maradona, santo laico onnipresente sui balconi di questo quartiere-simbolo nato negli anni ‘80, deportando tutti gli sfollati del terremoto. Nel bar del Parco Verde si chiede un tè alla pesca, e anche scusa alla cassa perché si paga con il bancomat. “Un attimo, lo devo accendere”.

 

Don Patriciello ci dirà che non ha illusioni perché “nemmeno Mattarella dopo avermi ricevuto fece una telefonata per darci una mano: qui ci servono le cose minime, vigili urbani e assistenti sociali, la militarizzazione serve alle telecamere, ma poi io rimango solo con la mia scorta”. Ci sono facce dispari in giro, scocciate dalla notorietà di queste ore. Perché Caivano è ovunque. Nicolangelo Gelormini è il regista di “Fortuna”, il film liberamente ispirato alla storia di Fortuna Loffredo, la bimba violentata e uccisa al Parco Verde di Caivano nel 2014. “Decidemmo di girare il film altrove per non personalizzare – dice  per raccontare le tante sacche nere d’Italia dove non si riesce a investire sull’alfabetizzazione dei sentimenti. A Caivano come altrove”.  In hotel sta per entrare il commissario Gianfranco Tomao: dorme qui, è il sindaco pro tempore del comune che si è sciolto dopo le dimissioni dei consiglieri dal notaio. Oggi non sarà una nuova Cutro. Non ci saranno decreti, Meloni incontrerà la mamma di una delle due cuginette che ha subito violenze, poi partirà per la Grecia per una cena di lavoro con il primo ministro,  Kyriakos Mitsotakis. Voci dal Park Hotel Roseto: “E quindi da venerdì che succederà?”. Intanto per oggi tutto è blindato.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.