Salvini riassegna la autostrade abruzzesi ai Toto. Populisti al casello

Valerio Valentini

Pronta la revoca della revoca, un anno dopo la decsiione di Draghi. Il contenzioso era un rischio notevole per il Mef, e così il gruppo Toto, che ha ingaggiato con lo stato una sfida a colpi di ricorsi, riprenderà la gestione di A24 e A25. Ennesima puntata della stramba saga tra stato e padroni dei caselli all'epoca dell'antipolitica in cui il capo della Lega ha saputo assumere tutte le posizioni possibili

I modi vanno ancora definiti, ma la scelta è presa: Matteo Salvini ha deciso di riassegnare al gruppo Toto la concessione della Strada dei Parchi. La revoca della revoca è pronta: il vicepremier leghista ne ha fatto cenno ieri ai colleghi di governo riuniti a Palazzo Chigi, e intende approvarla nel prossimo Cdm, quello di lunedì, l’ultimo prima della pausa estiva.  Ci stanno lavorando, e ormai da più di un mese, il capo di gabinetto di Salvini, Alfredo Storto, e il fidato viceministro Edoardo Rixi.

E’ durato un anno, dunque, o poco più, il purgatorio dei Toto. Fu Mario Draghi, il 7 luglio del 2022, a disporre la revoca della concessione e la conseguente assegnazione della A24 e A25 – le due tratte autostradali che collegano Roma con L’Aquila e Teramo da un lato e Pescara dall’altro – all’Anas. E resterà negli annali, quel decreto, per essere stato l’ultimo prima dell’apertura della crisi al Senato da parte del M5s. Ne è seguito, come sempre succede quando si mette mano alle concessioni autostradali, un tramestio di ricorsi, contestazioni, pareri dell’Avvocatura generale dello stato messi in discussione da sentenze del Tar contraddette da pronunciamenti del Consiglio di stato, e guerre a colpi di carte bollate e ricorsi alla Corte costituzionale, nientedimeno.  Ed è questo guazzabuglio legale che i funzionari di Salvini dicono di volere archiviare, adesso.

Perché dalle baruffe che sono nate tra i Toto e il Mit è scaturito un contenzioso da 2,3 miliardi che l’ex concessionario è convinto di potere riscuotere, tanto più dopo le due sentenze di assoluzione in primo grado – all’Aquila e a Teramo – dalle accuse di mancata manutenzione dei viadotti. Di lì, dunque, i dubbi di Salvini: indennizzare il gruppo oppure, ed è l’opzione che è stata scelta d’intesa col Mef di Giancarlo Giorgetti, ripristinare la concessione. Il tutto, senza attendere il pronunciamento della Consulta, chiamata dal Tar del Lazio a pronunciarsi sulla costituzionalità della revoca.

Roba, insomma, da far accapigliare tra loro esperti, ed esteti, del diritto amministrativo. Comme d’habitude, del resto. Ché in Italia il rapporto tra lo stato e i padroni dei caselli è regolato da un pendolo impazzito per cui, nell’alternarsi delle stagioni, le concessioni revocate quasi sempre con grande enfasi trionfalistica vengono quasi sempre silenziosamente riassegnate. Un po’ come le province abolite per essere rifondate; un po’ come i forestali soppressi ma da ricostituire. E qui semmai è da notare – oltre al paradosso per cui il governo dei patrioti, quello sempre all’erta contro ogni lobby, restituisce ogni onore a quegli intramontabili Toto che invece avevano subito l’affronto dal governo “del banchiere dei poteri forti” – come proprio Salvini incarni, in corpore vili, le contraddizioni del populismo applicate all’asfalto. Lui che, dopo il crollo del Ponte Morandi, nell’estate del 2018, impettito accanto a Conte (quello che “non possiamo attendere i tempi della giustizia ordinaria”), tuonava contro i Benetton e chi li aveva favoriti (cioè anche lui stesso, che dieci anni prima aveva votato a favore della concessione contestata), era lo stesso Salvini che di lì a poco, consumata la rottura col M5s, si lamentò perché “l’unica certezza è che, da tutta questa operazione della revoca, gli unici che ci hanno guadagnato sono i Benetton, che hanno portato a casa alcuni miliardi di euro cash”. E dunque è forse fatale che ora spetti a lui revocare la revoca della concessione ai Toto. Fino, beninteso, alla prossima gazzarra autostradale, quando la convenienza politica imporrà di mostrarsi irreprensibili contro i concessionari.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.