(foto Ansa)

Dentro al Duomo

Il feretro del Cav. tra Mattarella e "Drive in"

Salvatore Merlo

Un rito ambrosiano con una punta di bianco di troppo: l’aria di pacificazione nazionale è solforosa e coperta di incenso. La strana cerimonia di stato a un uomo che non rientrava nei codici dello stato. Cronaca del funerale di Silvio Berlusconi

Alla fine, la sintesi di tutto è nella scena del feretro che esce dal Duomo, ed ecco che s’alza il coro della curva. La tifoseria del Milan, i canti e le bandiere in un funerale di stato dove – da cerimoniale – nessuno a parte il sacerdote può parlare. Marina Berlusconi aveva chiesto la parola, ma le hanno detto che no, non si può (però almeno le hanno fatto leggere prima il testo dell’omelia). E così l’unico verbo, come nelle tragedie greche, alla fine è il coro: il costante mormorio di gioia e di strazio del destino. Un innesto di bandierone nel rigore di un funerale con il presidente della Repubblica seduto in prima fila, i corazzieri a guardia del feretro, i carabinieri in alta uniforme, la tromba militare che suona il silenzio. Fuori il coro e dentro gli sguardi, tanto muti quanto eloquenti. Marta Fascina guarda Marina che guarda Pier Silvio. E c’è qualcosa d’implacabile in questo scambio di sguardi, dolce e insieme complice. I due figli maggiori del Cavaliere, che sono i veri padroni dell’azienda e dunque della casa, e Marta, la moglie non sposata che è l’instrumentum regni nel feudo della politica, quello usato per allontanare gli sciacalli e le iene che avevano fatto branco accanto alle spoglie del re morente. Se lo tenevano stretto, il Cav., come una cassaforte dalla quale puoi prendere ciò che vuoi. Dov’è seduta Licia Ronzulli, la ex potentissima? “Non c’è”. “Ma sì che c’è. E’ lì sotto, in sesta fila, in fondo”. Sicché fuori si canta, mentre dentro alla chiesa è invece tutto un codice silenzioso, un comunicare attraverso piccoli gesti: Meloni che tenta quasi di sparire, Salvini che arriva per primo e passeggia tra le navate mano nella mano con la fidanzata Francesca Verdini, Tajani in lacrime, Schlein in imbarazzo, gli ambasciatori di Francia e Germania, la locomotiva d’Europa, che non si mollano un attimo e sembrano due fratelli allegri al funerale del lontano parente.

 

Marcello Dell’Utri, assai dimagrito, si è fatto forza e non è voluto mancare. Umberto Bossi, in carrozzina, è accompagnato dal figlio Renzo. Gianni Letta è il primo seduto subito dopo la famiglia Berlusconi. Denis Verdini, con la barba lunga, è ricomparso in pubblico dopo tanto tempo. La ministra della Famiglia, Eugenia Roccella, si avvicina a Elly Schlein, che è scortata dai capogruppo del Pd Francesco Boccia e Chiara Braga: “Hai fatto bene a venire”. E Schlein, con l’aria di chi è stata costretta da Dario Franceschini, gettando un’occhiata ripida a Gad Lerner che prende appunti: “Grazie”. E tanti saluti. L’aria di pacificazione nazionale è solforosa, o comunque è coperta dall’odore d’incenso.    Nello stesso istante in cui al Duomo si concludeva il rito funebre, a Cologno, nella città imperiale di Mediaset, salivano al cielo cinquemila palloncini. Tanti quanto i dipendenti dell’azienda, che oggi si chiedono, non meno dei parlamentari di Forza Italia, quale mai sarà il loro destino. Le televisioni saranno vendute ai francesi di Vivendi, come dice qualcuno? E Forza Italia diventerà un satellite di Fratelli d’Italia, come dice qualche altro?

 

Chissà. Dentro alla Cattedrale, sotto la vetrata del Vecchio Testamento, tra gli invitati di Mediaset, che stanno alla sinistra del pulpito, e i parlamentari, che invece sono seduti sulla destra, tutti osservano le prime file, e cercano di capire. Come se gli sguardi, i gesti, le mani che s’incrociano lì dove siede la famiglia di Silvio Berlusconi, si potessero davvero interpretare. Si procede a tentoni. Si rischia di scomparire, come i resti di una nave affondano fra i marosi in tempesta? Davvero il più piccolo dei figli di secondo letto del Cavaliere, Luigi, vuole fare politica? Ma no. O forse sì. E chi può dirlo? Tutti sembrano avere davanti agli occhi una qualche visione, spaventosa o meravigliosa, come se vedessero sorgere deformazioni del futuro di cui scorgono soltanto alcuni lati. “Avete visto che è tornata Carla Dall’Oglio, la prima moglie di Berlusconi?”. Ma la signora Carla in realtà non c’è, anche se molti credono di averla vista. E nemmeno era mai  uscita dalla vita di Silvio. Sempre presente, come Confalonieri, Dell’Utri, Galliani e Letta. Discreta. Non si sa nemmeno bene come sia fatta fisicamente. “Carla è quella che non gli ha mai rotto le scatole”. E’ la madre dei due figli maggiori, Marina e Piersilvio (detto Dudi).

 

E l’assente presenza di Carla, in chiesa, sotto la nube d’incenso, è in realtà un miraggio dei cortigiani, dovuto alla certezza che il destino politico, famigliare e aziendale adesso sia interamente nelle mani dei suoi due figli, Marina e Pier Silvio, la presidente di Fininvest, la holding finanziaria che tutto l’impero controlla, e l’amministratore delegato di Mediaset. Veronica Lario, la seconda moglie, la madre di Barbara, Eleonora e Luigi, è in disparte. Ma c’è. Lei sì. Elegante, la bocca segnata da sottili rughe amare mentre ascolta l’omelia di monsignor Delpini, l’arcivescovo di Milano, che descrive lo Stregatto Berlusconi, “un desiderio di vita, di amore e di gioia”. Pure troppa, forse. Sicché, mentre Lorella Cuccarini vestita di nero si siede non lontano da Alba Parietti e mentre Lele Mora, vestito d’un completo giallo canarino con scritte nere, saluta Massimo Boldi, mentre Arrigo Sacchi piange a pochi metri da Fabio Capello e da Demetrio Albertini, tutti seduti sotto la navata sinistra, accanto agli ambasciatori e ai calciatori del Monza, ecco che in questo guazzabuglio di mondi viene ricomponendosi la fantastica anomalia del Cavaliere scomparso.

 

Statista degno d’un funerale di stato, sì, ma anche impresario e circense. Così Maria De Filippi, la regina delle conduttrici Mediaset, che siede alle spalle di Marina, è vestita d’un bianco incongruo e assai poco ambrosiano, che stona con l’elegante veletta di Eleonora Berlusconi e col nero e blu della sorella  Barbara. Ma è pur vero che la poco austera De Filippi s’intona ai colori che piacevano al Cavaliere, il quale com’è noto amava le donne bionde vestite di bianco. Un omaggio stonato, dunque. In una funzione, tuttavia, integralmente stonata. E insieme anche stordente. Perché tutto il funerale, dentro al Duomo di Milano, aveva quest’aria indefinibile e strana. In quanto onori militari e carabinieri, stendardi e gonfaloni, grisaglie e autorità acquartierate, sono il contrario dell’universo ludico che Berlusconi ha portato in politica e nei Palazzi romani. Nemmeno alla parata del 2 giugno, per chi lo ricorda, quando era capo del governo, egli riusciva a non essere se stesso, con quella nota scanzonata che a tanti appariva fuori tono, inopportuna, col gesto d’apprezzamento rivolto alle crocerossine: la mano che rotea a indicare meraviglia di fisico e di forme femminili. Ai quei tempi si scherzava: “Se mi eleggono presidente della Repubblica, sostituisco i corazzieri con le Amazzoni”.

 

Ecco, appunto. Ecco lo strano funerale di stato a un uomo che non rientrava nei codici dello stato. Al punto che ieri, dentro al Duomo, pur nella solennità austera del luogo e dei simboli, pur nei dubbi sul futuro della politica e dell’azienda, tra le lacrime degli amici e quelle recitate dei clientes, c’era sempre anche un tocco di “Drive In”. Flavio Briatore, in sneakers e completo, si avvicina al primo ministro del Qatar, che sembra un modello di Hugo Boss con le scarpe di vernice: “Quando andiamo a giocare a golf sulle dune del deserto?”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.